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Un nuovo uso per l’olio usato dei McDonald's: diventa bio-resina per la stampa 3D

Un team di ricercatori dell'Università di Toronto è riuscito a convertire un litro di olio da cucina in 420 millilitri di preziosa resina

di Roberto Zonca   
Un nuovo uso per l’olio usato dei McDonald's: diventa bio-resina per la stampa 3D

L’olio da cucina, quello che tutti usiamo per friggere patatine, verdure o pesce, costituisce per l’ambiente una seria minaccia. E’ per questo che la sua gestione deve rispettare delle regole molto particolari. Benché la pratica non sia ancora molto diffusa, e il problema venga sottovalutato, questi scarti devono essere conservati e consegnati nelle isole ecologiche. Un team di ricercatori dell'Università di Toronto, coordinato dal professor Andre Simpson, ha annunciato però di esser riuscito a trovare un modo per smaltire questi liquami, trasformandoli in una risorsa preziosissima. L’equipe, infatti, è riuscita a trasformare l'olio da cucina usato di una friggitrice in una resina biodegradabile per la stampa 3D ad alta risoluzione. Il successo del processo sembra garantito.

La trasformazione in resina risulta essere molto più economica del normale smaltimento e permette inoltre la produzione di un prodotto “estremamente” economico e persino biodegradabile. L’idea di trasformare l’olio esausto in resina per la stampa 3D è nata circa 3 anni fa. Simpson, dopo aver notato delle similarità tra i grassi dell'olio da cucina e le resine commerciali per la stampa 3D, ha provato a capire come servirsi dei primi, considerati un problema. Per avviare una sperimentazione ha contattato McDonald's, che di olio per la preparazione di cibi ne utilizza in abbondanza. Il colosso, ben lieto di collaborare per un progetto di questo tipo, gli ha concesso l’uso degli scarti prodotti nei propri fast food.

I risultati non sono tardati ad arrivare. Oggi Simpson ha annunciato di essere in grado di convertire un litro di olio esausto in 420 millilitri di resina ad alte prestazioni. Con un singolo processo chimico lo scienziato ha prodotto una resina capace di mantenuto i particolari fino a 100 micrometri. La resina, inoltre, è risultata esser strutturalmente e termicamente stabile.

La trasformazione dell’olio in resina costa decisamente meno del classico smaltimento, e se questo non fosse già un aspetto in grado di convincere la maggior parte dei ristoranti, Simpson ha spiegato che il prodotto finale risulta molto più economico delle resine ad alta risoluzione, per stampa 3D, oggi sul mercato. Mentre un prodotto tradizionale convenzionali costa negli Usa fino a 525 dollari al litro, in quanto derivato da oli combustibili fossili, la resina ottenuta nei laboratori dell'Università di Toronto potrebbe essere prodotta a partire da 300 dollari per tonnellata: meno della comune plastica che, va sottolineato, rappresenta oggi un problema perché “la natura non si è evoluta per gestire i prodotti chimici realizzati dall'uomo".

"Dato che essenzialmente stiamo usando un prodotto naturale - ha evidenziato lo scienziato - in questo caso i grassi derivati dall'olio da cucina, la natura può gestirlo molto meglio". Il professore, che ha visto i risultati della propria ricerca pubblicati sulle pagine della rivista ACS Sustainable Chemistry & Engineering, sostiene che un oggetto stampato con la nuova resina, una volta seppellito nel terreno, inizia a decomporsi dopo appena 2 settimane, perdendo circa il 20 per cento del proprio peso. "Se lo seppellisci i microbi del suolo inizieranno a scomporlo perché essenzialmente è solo grasso – ha spiegato -. È qualcosa che i microbi amano mangiare e fanno un buon lavoro per scomporlo".

di Roberto Zonca   
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