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I fiumi e le montagne ora possono denunciare chi non li rispetta. E L’Italia è tra i primi al mondo

L'intervista a Thibault Faraü, giovane filosofo francese tra i più grand conoscitori dei diritti della Natura

di Massimiliano Lussana   
Foto ufficio stampa
Foto ufficio stampa

È una rivoluzione copernicana, quella che parte da Castelvecchio di Rocca Barbena, Liguria, provincia di Savona, nell’entroterra di Albenga, e non potrebbe esserci metafora più azzeccata, visto che il tema di questo mese in quello che è stato proclamato uno dei cinque borghi più belli d’Italia sono proprio gli astri e le altre terre.
E la rivoluzione consiste nell’assegnazione di una personalità giuridica agli ecosistemi. Insomma, immaginatevi la scena in un tribunale in cui il giudice chiede alla parte civile o all’accusa di fare la sua requisitoria. E sul banco ci sono un fiume, una montagna, un intero ecosistema. Rappresentato da uomini, certo, ma che sono volti e voci di questa storia.


A spiegare tutto questo è Thibault Faraüs, giovane ricercatore francese attualmente impiegato all’Office français de la biodiversité, autore del libro Les écosystèmes ont-ils des droits? – La personnification de la nature comme traduction juridique des communs, sui diritti degli ecosistemi naturali, che gli è valso il Prix du mémoire de Sciences Po Lyon 2020.  Insomma, il giovanissimo filosofo francese è uno dei massimi conoscitori al mondo dell’argomento e cita subito casi concreti in Colombia, Bolivia, Spagna, Nuova Zelanda, Canada.

In Colombia tutelati i diritti di un fiume

A partire proprio da “une rivière”, un fiume, in Colombia, che era pesantemente inquinato dai cercatori d’oro che, per facilitare la loro attività estrattiva usavano anche il mercurio, notoriamente non proprio un balsamo per le acque. Insomma, il livello di “pollution”, inquinamento, fece insorgere la popolazione e “tutto iniziò dalla base, dalle popolazioni che vivevano attorno al fiume, non dai giuristi”. Eppure, proprio grazie a questo passaggio, il fiume e tutto il suo ecosistema divenne soggetto giuridico, regolarmente costituito in tribunale.

Poi, è ovvio, che si tratta di una finzione giuridica e di una convenzione, dato che non si può pensare all’ingresso fisico del fiume – e poi la sorgente, il corso o la foce? – nell’aula di tribunale. Ma Thibault è prontissimo a rispondere anche all’obiezione sul fatto che questo diritto ufficialmente riconosciuto è una convenzione: “esattamente come ogni altro settore del diritto, che è comunque una costruzione sociale. Se lo è un’impresa, è chiaro che lo può essere anche un ecosistema”.

Chi rappresenta l'ecosistema in un tribunale?

Insomma, il passaggio successivo è capire quale esponente dell’ecosistema va a rappresentare l’ecosistema stesso in tribunale. In Colombia, per il fiume inquinato dal mercurio, ad esempio, è toccato proprio ai promotori dell’azione rappresentare lo stesso ecosistema.

Ed è stato lo stesso in Nuova Zelanda, sempre con un territorio attraversato da un fiume, con la stessa domanda: “Chi parlerà a nome del fiume? Pescatori, agricoltori, residenti lungo il corso?”. Ma in questo caso il tribunale neozelandese ha sciolto il dubbio “decidendo unanimemente che le popolazioni Maori che risiedevano lì erano gli unici legali rappresentanti”. E così al fiume  Whanganui, e ai suoi affluenti venne riconosciuta la personalità giuridica e sulle canoe Maori è scritta la “Costituzione del fiume”.

Il filosofo francese non elude nessuna domanda nel suo “Controdialogo” al “FestivAlContrario” che Manuela Litro e Vera Marenco hanno arricchito di dibattiti, in un posto che è quasi la definizione di ecosistema. E così, Giulia Mietta ed io, a cui è affidato “l’interrogatorio”, arriviamo a un altro punto decisivo: “In una situazione dove non c’è un popolo ancestrale – spiega Faraus - ad esempio una montagna dove ci sono pastori che magari uccidono lupi per proteggere le loro pecore, ma vivono lì, hanno più titolo loro a rappresentare quella realtà o ad esempio le associazioni che proteggono la natura? Insomma non ci sono principi validi per qualsiasi situazione, ma vanno adattati ai singoli casi”.

Così, arrivando in Europa, “in Spagna la tutela di una palude a cui sono stati attribuiti diritti giuridici è affidata dal giudice a tutta la collettività che vive lì”, mentre maggiori problemi avvengono quando si tende ad allargare troppo il discorso. Ad esempio, in Ecuador dove la Costituzione, in modo troppo alto e troppo generico ha tutelato “la natura”, la difesa reale degli ecosistemi si è rivelata molto più complicata.

Insomma, è come se in qualche modo la frase “la natura si riprende i suoi diritti” che ci siamo sentiti ripetere e ci siamo ripetuti durante il Covid in modo quasi ossessivo, abbia la traduzione giuridica qui, ma Thibault ci tiene a mettere sempre l’accento sul fatto che questo funziona soprattutto quando nasce dalla base, dalle comunità, dalle popolazioni, più che da giuristi e politici.

E qui veniamo all’Italia dove, proprio dopo il Covid, nel 2022, il Parlamento approvò la riforma costituzionale degli articoli 9 e 41, discutendola in pochissime ore, con un solo voto contrario alla Camera e in un progetto di legge unificato che metteva insieme entrambi gli articoli e proposte di legge praticamente di ogni gruppo parlamentare. Una maggioranza blindatissima e fortissima che scongiurò anche ogni rischio di proposta di referendum costituzionale.

Qui occorre anche fare un piccolo excursus storico: cioè che di ambiente in Costituzione non si era mai parlato fino alla riforma del 2001, che nell’articolo 117 stabilì le materie di competenza regionale e quelle che dovevano restare a livello centrale, fra cui per l’appunto l’ambiente. Ma prima di quel momento non c’era stato alcun riferimento giuridico all’ambiente, se non qualche raro intervento della Corte Costituzionale e l’istituzione del ministero dell’Ecologia nel primo governo di Bettino Craxi, ruolo che fu ricoperto dal galantuomo liberale Alfredo Biondi.

Insomma, la legge costituzionale dell’11 febbraio 2022 numero 1 cambiò questi due articoli e vale la pena soffermarsi in particolare sul 9, perché fa parte dei principi fondamentali della Repubblica italiana, quelli intangibili.

Già i primi due commi usciti dalla Costituente furono davvero molto innovativi, quasi rivoluzionari e forse il 9 è uno di quelli che più legittima a dire “la più bella del mondo: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”.

E ancora, al secondo comma: “Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Fino all’ultima aggiunta: “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

Insomma, per una volta siamo assolutamente all’avanguardia in Europa e nel mondo. Almeno sulla carta.

di Massimiliano Lussana   
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