Guida all’acquisto consapevole delle uova, alimento superstar, con un occhio alle frodi
In Italia è boom di uova con un giro d’affari vorticoso. Un comparto, tuttavia, di luci e ombre come svelato da un’inchiesta-video shock di Essere Animali
Uova in vetta tra i prodotti più consumati con un balzo del 14% tanto da aggiudicarsi il titolo di star del carrello alimentare: è la fotografia del rapporto Ismea, l’istituto di servizi per il mercato agricolo-alimentare, sui consumi domestici delle famiglie italiane nel 2018. Dietro il successo, spiega il rapporto, la rivalutazione delle uova sotto il profilo nutrizionale, salutistico ed etico. A convincere i consumatori l’obbligo delle misure per la loro tracciabilità, le diciture sulle confezioni, nonché la possibilità di scegliere tra uova di galline allevate in gabbia, a terra, all’aperto e uova biologiche.
La carta d’identità delle uova
La marchiatura delle uova, stabilita in sede comunitaria e recepita in ambito nazionale, è una vera e propria carta d’identità, uno strumento per aiutare i consumatori a scegliere in maniera consapevole e informata. Sulla loro superficie è, infatti, stampigliato un codice alfanumerico con l’indicazione della modalità di allevamento - 0 da allevamento biologico, 1 all’aperto, 2 a terra, 3 in gabbia -, del paese di origine, del codice Istat del comune di produzione, della provincia di ubicazione del produttore e del numero identificativo dell’allevamento. Le uova vendute sfuse devono, invece, essere accompagnate da un cartellino apposto sul cestello o in genere del contenitore con almeno l’indicazione del nome e dell’indirizzo del produttore.
Categorie di uova
Importante per il consumatore conoscere anche le categorie di uova: “Le uova fresche” spiega un opuscolo del Ministero della Salute “sono classificate come categoria A extra cioè uova freschissime non refrigerate, con camera d’aria non superiore a 4 mm, e utilizzabili fino al 7° giorno dall’imballaggio o al 9° giorno dalla deposizione; trascorso tale periodo le uova possono essere commercializzate con il solo riferimento alla categoria A (avendo perduto la qualificazione di extra)”. Le uova della categoria B sono, invece, quelle destinate all’industria della trasformazione e pertanto non disponibili nei punti vendita.
Le uova sono classificate, stampigliate e imballate entro 10 giorni dalla data di deposizione - quelle fresche entro 4 giorni – mentre il termine minimo di conservazione, fissato al massimo a 28 giorni dalla data di deposizione, è apposto al momento dell’imballaggio. Sulla confezione, oltre alla data di deposizione o al termine minimo di conservazione, è anche indicata la grandezza delle uova, corrispondente a un peso prestabilito: XL, grandissime, oltre 73 g: L, grandi, da 63 a 73 g; M, medie, da 53 a 63 g; S, piccole, meno di 53 g.
Per capire se un uovo è fresco, spiega l’opuscolo del Ministero della Salute, basterà immergerlo in una brocca con 1 lt d’acqua e 25 g di sale: “L’uovo freschissimo (buono da bere) si depositerà sul fondo, l’uovo fresco (ha da 1 a 4 giorni) galleggerà sul fondo, l’uovo non fresco (ha circa 20 giorni) galleggerà in sommità, ma senza affiorare in superficie mentre l’uovo vecchio (non commestibile) galleggerà in superficie”.
Uova e frodi
Le uova, come molti alimenti, sono soggette a frodi di tipo commerciale o sanitario. Le prime, come sintetizzato da un documento dell’allora azienda sanitaria di Verona, riguardano uova con termine minimo di conservazione superiore ai 28 giorni; uova differenti per categoria di peso; uova refrigerate vendute come categoria A; uova lavate non dichiarate; mescolanza tra prodotto fresco e scongelato; uso di uova di specie diverse; falsa denominazione di vendita; uova comunitarie o extracomunitarie vendute per italiane; mancato confezionamento delle uova entro i termini previsti; falsa dichiarazione del metodo di allevamento; falsa dichiarazione di biologico; falsa dichiarazione del tipo d’alimentazione delle galline.
Le frodi sanitarie riguardano, invece, uova sporche e incrinate; uova con residui di farmaci e altri contaminanti; uova lavate; uova refrigerate; impiego di uova vecchie e quindi ad alta carica batterica; l’uso di uova non adatte al consumo a causa della presenza di muffe, feci e parassiti; impiego di uova di centrifuga e di schiacciamento; miscelazione di prodotto vecchio con prodotto fresco; uso di sostanze vietate per correggere il pH; impiego di coloranti e additivi non ammessi; infine, aggiunta di carbonati per correggere odori anomali.
Boom di uova in Italia
Secondo il rapporto Ismea sul comparto delle uova da consumo, nel 2018 in Italia sono state prodotte 12,2 miliardi di uova per un totale di 772 mila tonnellate, con un volume di vendite presso la grande distribuzione di 792 milioni di euro contro i 688 del 2017, con un aumento del 15% - il 12% di prodotto viene, invece, acquistato direttamente dalla produzione o nei piccoli negozi. Di 1,5 miliardi è, invece, il fatturato delle vendite per la lavorazione e la trasformazione del prodotto finito. In Italia, così il rapporto, la produzione di uova è garantita da oltre 38 milioni e 900 mila galline ovaiole “accasate in oltre 1.800 allevamenti a gestione professionale”, con più della metà della produzione concentrata fra Veneto (26%), Lombardia (25%) ed Emilia-Romagna (17%), con la Sicilia, con uno striminziato 6%, fanalino di coda. Una produzione, comunque, in buona salute che riesce a coprire l’intero fabbisogno nazionale. Il consumo nazionale di uova è pari a 13,4 Kg pro capite, pari, all’incirca a 214 uova l’anno tra consumo diretto e consumo indiretto “considerato che il 40% del prodotto è utilizzato nell’industria alimentare sotto forma di ovo-prodotti”.
Analizzando l’offerta al consumo e l’andamento delle vendite, al primo posto ci sono le uova da allevamenti a terra con un’offerta del 45% e un andamento del +28%; al secondo posto quelle da allevamenti con gabbie arricchite con un’offerta del 42% e con una flessione delle vendite del -19%; al terzo posto le uova biologiche con un’offerta del 9% e un andamento del +12%; al quarto posto, infine, le uova da allevamento all’aperto con un’offerta del 3% e un andamento del +25%.
Dati che il rapporto interpreta così: “Sono sempre di più i consumatori che, nelle proprie scelte d’acquisto, si dimostrano attenti al rispetto delle condizioni di vita degli animali. Un caso emblematico è proprio quello che riguarda le uova provenienti dalle galline allevate nelle cosiddette gabbie arricchite, leggermente più spaziose delle vecchie batterie messe fuori legge nel 2012 da una normativa europea. Il loro consumo sta evidenziando negli ultimi anni un declino inarrestabile. Diverse insegne della grande distribuzione, infatti, hanno deciso di assecondare la sensibilità di molti dei propri clienti, interrompendo o diminuendo drasticamente la commercializzazione di questa tipologia di uova, riservando invece la parte preponderante dell’assortimento a quelle prodotte da galline allevate a terra”.
L’Italia condannata
Non sempre tra i consumatori c’è, però, chiarezza sui sistemi di allevamento. C’è il sistema intensivo in gabbia e ci sono i sistemi alternativi – a terra, biologico, all’aperto. Nell’allevamento in gabbia gli animali sono all’interno di gabbie arricchite con una densità di 750 cm2 per gallina, mentre sono vietate in ambito comunitario le gabbie di batteria convenzionali, cosa che nel maggio del 2014 è costata all’Italia la condanna da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, cui s’era rivolta l’allora Commissione Europea perché accertasse eventuali violazioni della direttiva comunitaria 1999/74/CE, eppure recepita in Italia dal decreto legislativo 267/2003 come attuazione delle direttive comunitarie 1999/747CE e 2002/4/CE per la protezione delle galline ovaiole e la registrazione dei relativi stabilimenti di allevamento: “La Repubblica italiana, non avendo garantito che, a partire dal 1° gennaio 2012, le galline ovaiole non fossero più tenute in gabbie non modificate, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 3 e 5, paragrafo 2, della direttiva 1999/74/CE del Consiglio, del 19 luglio 1999, che stabilisce le norme minime per la protezione delle galline ovaiole”sentenzierà la Corte di Giustizia Europea.
Anche se più larghe, le gabbie arricchite, queste le accuse provenienti da più parti, costituiscono un sistema di privazione della libertà e un argine al comportamento naturale delle galline.
Allevamento a terra
Nei sistemi di allevamento a terra, spiega la onlus CIWF Italia che si batte per allevamenti rispettosi del benessere animale, le galline vengono allevate dentro edifici a piano unico o piani multipli con “accesso ad una serie di piattaforme situate ad altezze differenti”. La densità consentita dalle direttive comunitarie è di 9 galline per m2. In questo tipo di allevamento, continua CIWF Italia, le galline, che hanno spazi in comune, possono muoversi liberamente, hanno nidi con superficie grattabile, posatoi e lettiera sul suolo. “Paragonati alle gabbie” commenta “questi sistemi permettono alle galline una maggiore libertà di muoversi, spiegare le ali e volare. Essi forniscono loro anche la possibilità di esprimere comportamenti naturali come quelli di becchettare, farsi le unghie e deporre le uova in un nido chiuso”.
Allevamenti all’aperto e biologici
“In entrambi questi sistemi” spiega CIWF Italia “le galline hanno accesso all’esterno con minimo 4m2 di spazio per gallina, almeno durante il giorno. Nei sistemi biologici la densità di allevamento è limitata a 6 galline/m2 all’interno del capannone e il numero massimo di animali allevabili è 3.000; di solito alle galline non viene tagliato il becco e viene concesso loro più spazio all’esterno (10 m2/animale) per conformità ai limiti di immissione di nitrati sul terreno. Entrambi i sistemi forniscono alle galline maggiori opportunità di appollaiarsi, fare bagni di polvere, muoversi e andare alla scoperta dell’ambiente circostante becchettando, grattando e andando alla ricerca di cibo. Le galline sono in grado di pascolare all’esterno, sull’erba, mangiando insetti e vermi, e traendo giovamento dall’aria fresca e dalla luce naturale. Sono spesso forniti agli animali siepi e alberi che formano aree naturali di ombra e riparo da vento pioggia e sole, nonchè protezione dai predatori. Vermi, insetti e erba danno varietà alla dieta e possono migliorare la qualità nutrizionale delle uova”.
Premio per aziende virtuose
Dal 2007 CIWF Italia attribuisce il premio Good Egg alle aziende che utilizzano o s’impegnano a farlo entro 5 anni solo uova e/o sottoprodotti di galline non allevate in gabbia e, quindi, a terra, all’aperto o secondo allevamento biologico. Un premio, per CIWF Italia, che dà la possibilità di porsi in una posizione di leadership in qualità di azienda improntata allo sviluppo etico; di mostrare con chiarezza che le politiche sono in linea con i valori del marchio; di migliorare la capacità di gestione dei rischi attraverso una maggiore trasparenza e tracciabilità della filiera; di accrescere la fiducia dei consumatori del proprio marchio venendo, così, incontro alle crescenti richieste di consumo di prodotti sempre più rispettosi del benessere animale.
Un’inchiesta shock sulla produzione delle uova
Nonostante le leggi e le direttive, il mondo avicolo non è esente da episodi di maltrattamenti sugli animali. Dopo quello sulle galline in gabbia, il 24 ottobre Essere Animali, organizzazione bolognese per i diritti degli animali, ha rilasciato un video con l’indagine di un “investigatore sotto copertura” dell’organizzazione che ha lavorato all’interno di alcuni allevamenti a terra di proprietà di una grande azienda dell’Emilia Romagna. Le immagini sono state registrate, con telecamera nascosta, in un allevamento di Castrocaro, in provincia di Forlì Cesena, e in un allevamento di San Zaccaria, in provincia di Ravenna. Il filmato mostra tutte le violenze ai danni degli animali in violazione del decreto legislativo 146 del 26 marzo 2001 a recepimento della direttiva comunitaria 98/58/CE sulla protezione degli animali negli allevamenti.
Nell’allevamento di Castrocaro sono state documentate anche pessime condizioni igieniche con la presenza di topi, cosa confermata da una lavoratrice, che abitualmente mangiano le uova destinate al consumo umano, mentre in quello di San Zaccaria l’indagine ha portato alla luce una frode alimentare con le uova prodotte vendute come biologiche “nonostante l’assenza” commenta Essere Animali “di aree esterne recintate in cui far razzolare le galline, come richiesto dalla legge”.
Video
Indagine shock sulla produzione di uova
Abbiamo parlato di:
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