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Gridiamo “attenti allo squalo”, ma è l’uomo a minacciare il predatore dei mari

La pesca ne uccide 101 milioni ogni anno e l’Italia è tra i principali Paesi consumatori. Il Wwf: “Spesso finisce nascosta nei piatti sotto falso nome”

di A cura di GreenReport.it   
Foto Shutterstock
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Nonostante la miriade di regolamenti volti a frenare la pesca eccessiva degli squali in tutto il mondo, il numero totale delle uccisioni non diminuisce, è anzi in leggero aumento. È quanto emerge da un nuovo studio internazionale pubblicato su Science, da un team di ricercatori guidato da Boris Worm della Dalhousie University e Darcy Bradley dell’Università della California/The nature conservancy. «Troppi squali stanno morendo e questo è particolarmente preoccupante per le specie minacciate, come gli squali martello», sottolinea Worm.

I ricercatori hanno analizzato le tendenze della mortalità degli squali in 150 paesi, esaminando le catture legate alla pesca dal 2012 al 2019. I dati mostrano in quest’intervallo di tempo la pesca mirata e le catture accidentali sono aumentate del 5% a 80 milioni l’anno; tenendo conto anche degli squali non adeguatamente identificati per specie, la stima della mortalità globale sale a 101 milioni di squali morti nel solo 2019.

Se ne deduce che negli ultimi decenni centinaia di milioni di squali sono stati uccisi, in primis per un singolo, ma redditizio, pezzo della loro anatomia: le pinne, il che ha alimentato la pratica del finning (il taglio delle pinne che avviene prima di ributtare in mare l’animale ormai agonizzante). In alcune parti dell’Asia, una zuppa di pinne di squalo può arrivare a costare fino a 200 dollari. Le cose però stanno cambiando: quasi il 70% delle giurisdizioni marittime globali ha introdotto alcune misure normative per eliminare il finning degli squali e la mortalità per pesca associata.

Il risultato però è molto lontano da quello atteso. Tali regolamenti potrebbero addirittura aver aumentato le catture, incentivando il pieno utilizzo degli squali e creando ulteriori mercati per la carne di squalo e altri prodotti. «Abbiamo visto diminuire la domanda di pinne di squalo e aumentare la domanda di carne di squalo, con Brasile e Italia come principali consumatori – spiega Leonardo Feitosa, co-autore dello studio –.  Poiché la carne di squalo è un sostituto relativamente economico per altri tipi di pesce, etichettature scorrette portano alcuni consumatori a mangiare carne di squalo a loro insaputa».

Si tratta di una realtà sottolineata anche da Giulia Prato, responsabile Mare del Wwf Italia, che commenta lo studio: «La carne di squalo viene consumata anche in Europa. L’Italia è uno dei maggiori consumatori di carne di squalo, che spesso finisce anche nascosta nei piatti sotto falso nome». Che fare? Dato che «gli squali non vengono più catturati solo per le loro pinne», anche la gestione della pesca deve andare oltre i divieti di finning.

Come argomenta il Wwf, gli squali svolgono un ruolo chiave nel mantenere l’equilibrio della rete alimentare marina e contribuiscono in modo importante al sequestro di CO2 negli oceani. Devono perciò essere tutelati e non dovrebbero essere consumati, soprattutto nei paesi occidentali la cui sicurezza alimentare non dipende da queste specie. «Il divieto totale della pesca degli squali, attraverso misure protettive come i santuari degli squali, può avere successo, evidenziando l’opportunità di dare priorità a queste e ad altre misure di conservazione basate sull’area», conclude Bradley.

A cura di GreenReport.it

 

di A cura di GreenReport.it   
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