Ecco perché le centrali a carbone vanno spente subito: la Sardegna davanti a sé ha solo l'energia rinnovabile
Convocate al Mise il prossimo 31 gennaio, le Associazioni ambientaliste presentano un documento che traccia la strada verso le fonti alternative. Il documento
Chiudere le centrali elettriche a carbone entro il 2025 come previsto dalla "Strategia Energetica Nazionale 2017", e indicato dal governo come obiettivo indifferibile, si può. Anche in Sardegna. Di più: la metanizzazione dell'Isola va contro la missione di rendere la produzione energetica sempre più green e distrae risorse preziose dalle fonti rinnovabili. Il "come" di tutto questo è contenuto in un documento dal titolo Sardegna zero CO2 – phase out 2025 (scarica il file in Pdf), redatto dalle associazioni ambientaliste Italia Nostra, WWF Sardegna, insieme ai Sindacati di base Cobas Cagliari e Unione Sindacale di Base Sardegna, già consegnato al Ministero dello Sviluppo economico, che verrà discusso nel prossimo tavolo sull'energia del 31 gennaio, al quale siederanno i diversi portatori di interesse dall'Isola.
Per gli ambientalisti, "sulla base delle informazioni tecniche disponibili" e tenendo conto dei dati pubblicati sui documenti ufficiali, raggiungere l'obiettivo in Sardegna è possibile, "senza che sia messa a rischio la stabilità della Rete e l'approvvigionamento dell'energia elettrica", come del resto si evince dalle pubblicazioni dai gestori Terna e Gse. Le associazioni lo spiegheranno ai tecnici del ministero che hanno avviato una serie di incontri con lo scopo - si legge nel "Piano Nazionale integrato per l'energia e il clima 2030" - di "individuare condizioni, percorsi accelerati e modalità per il phase out, (la chiusura definitiva delle centrali a carbone ndr) mantenendo in sicurezza il sistema e prospettando soluzioni per far fronte alle esigenze occupazionali conseguenti al phase out".
Tra le tante voci che il Mise sta ascoltando proprio quella degli ambientalisti suona imprescindibile per l'azione di un governo che ama definirsi "a trazione green" e con in mente una "svolta verde per dare risposte immediate ai nostri ragazzi che sfilano nelle piazze", come diceva il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante una visita in Sardegna dello scorso ottobre. E lo studio che verrà presentato oggi a Cagliari va nella giusta direzione, partendo da due assiomi: la produzione energetica da fonti fossili va superata e sostituita con la produzione da rinnovabili, passando attraverso l'efficentamento delle reti e la riduzione dei consumi.
La strada già tracciata
Attualmente la Sardegna registra una sovrapproduzione di energia (il 33,6% di quanto prodotto va in surplus, dice Terna riferendosi al 2018) che viene "esportata". Le due centrali a carbone di Fiumesanto e Portovesme, non lavorano per più di 3.300 ore "con un peso modesto nel sistema produttivo elettrico sardo, ma un costo elevato dal punto di vista ambientale", si legge nello studio. Le fonti rinnovabili attualmente, "soddisfano il 33,70 per cento del fabbisogno dell'Isola e il 66% dei consumi civili, eccezion fatta per il fabbisogno industriale". Vale a dire che "l'obiettivo fissato dal Burden sharing per la Sardegna (17,8 per cento) al 2020, è già stato quasi doppiato". La strada insomma è già tracciata.
"E' necessario andare verso l'orizzontalità energetica - spiega uno degli estensori del documento presentato al Mise, l'ingegnere Antonio Muscas - che significa che se si punta alla produzione diffusa, attraverso solare termico e fotovoltaico, si creano delle 'comunità energetiche' che autoproducono l'energia e la scambiano. Modelli già adottati in via sperimentale in alcuni paesi della Sardegna, in particolare Benetutti e Berchidda a cui si aggiunge Serrenti che ha messo in campo impianti di produzione e accumulo negli edifici scolastici". Esempi fortunati di autoproduzione e scambio che possono portare all'indipendenza energetica e che innescano un meccanismo virtuoso che ha come conseguenza il risparmio.
Gli esempi delle comunità energetiche sarde
"Succede infatti - aggiunge Muscas - che la produzione da fonti rinnovabili non è costante nell'arco della giornata e il problema correlato è la difficoltà dell'accumulo, perché le 'batterie' hanno un costo enorme. L'esperienza di Serrenti dimostra che in questi casi il consumo si può, per esempio, concentrare nelle fasce orarie di maggior produzione, mutando le abitudini delle persone, e scambiare l'energia in eccesso tra autoproduttori".
Oltre questi esempi che fanno immaginare un futuro davvero più "verde" c'è la trasversalità del lavoro da mettere in cantiere per attuare davvero la rivoluzione. L'efficentamento energetico delle abitazioni è sicuramente il primo passo ma ci sono anche le reti dei trasporti e tutta la produzione legata al calore. "Se si procedesse ad un adeguamento del sistema elettrico nel suo complesso, alla realizzazione di sufficienti impianti di accumulo e a un incremento della produzione da FER, si potrebbe assicurare con le sole fonti rinnovabili il soddisfacimento dell’intero fabbisogno energetico dell’Isola", asserisce il documento.
No al carbone e no al metano
Dando quindi seguito alle parole "rassicuranti" del governo, gli abientalisti delineano certezze: "La decarbonizzazione non si esaurisce con la chiusura delle centrali a carbone. Essa deve mirare alla progressiva riduzione, fino all’azzeramento, di tutte le emissioni di gas serra, (prima tra tutte l’anidride carbonica) conseguenti alla combustione di ogni tipo di fonte fossile. Per tale motivo - è scritto ancora - la metanizzazione dell’Isola appare in esplicito contrasto con i contenuti dei protocolli internazionali sul clima".
E a chi contesta che la Sardegna nella sua produzione energetica ha bisogno di "stabilità", non più garantita se si procede alla chiusura degli impianti di Portovesme e Fiumesanto, la risposta arriva dall'Hvdc Sardegna-Sicilia-Continente Sud. "Il cavidotto che collega le due maggiori isole è un'opera importante che stabilizzerebbe la produzione energetica sarda abbattendo i costi che ora sono altissimi - dice ancora Muscas - Si tratta infatti di un'opera altamente innovativa che consente grande flessibilità energetica e su cui anche da Roma guardano con favore".
Gli ambientalisti insomma sbarrano la strada a tutte le ipotesi di nuove fonti fossili, anche quelle a cui le ultime giunte regionali hanno puntato. "Si tratta di scelte politiche - sostiene l'esperto dell'Usb - la Regione deve imboccare la strada dell'energia rinnovabile per creare anche un'industria sostenibile. La metanizzazione della Sardegna, così come tenere accese le centrali a carbone, è una scelta folle. Anche perché - aggiunge - esclude scelte alternative: se i soldi confluiscono sulla dorsale del metano è chiaro che verranno meno gli investimenti per lo sviluppo delle rinnovabili".