“Salviamo il suolo per salvare noi stessi. La transizione energetica? Contraddizioni e dilemmi”. La video-intervista
"Non ci stiamo occupando dell'ecosistema più prezioso quanto dovremmo", è la denuncia di Paoilo Pileri, autore del libro "Dalla parte del suolo". Per lo studioso bisogna proteggere i nostri territori e sottrarsi alle speculazioni che troviamo anche dietro le fonti rinnovabili. E sulla legge Salva-Milano dice: "Non va approvata"
Ogni giorno 20 ettari di territorio naturale vengono persi. Moltiplicati per un anno diventano 73 chilometri quadrati cancellati nel 2023: come se in un colpo solo fossero stati costruiti tutti i palazzi di Torino, Bologna e Firenze. Dati impressionanti quelli rivelati dall'ultimo Rapporto nazionale sul consumo di suolo di Ispra, pubblicato pochi giorni fa. "Nello studio è scritto che non ci stiamo occupando dell'ecosistema più prezioso e vitale per gli equilibri climatici e ambientali quanto dovremmo", spiega Paolo Pileri, docente al Politecnico di Milano, membro del comitato scientifico che ha realizzato lo studio e autore di un prezioso libro dal titolo Dalla parte del suolo - L'ecosistema invisibile (Editori Laterza). Un testo che "dà voce alla terra", precisa il risvolto di copertina. Ne intuiamo la necessità, davanti ai dati della corsa cieca alla cementificazione le cui conseguenze, peraltro, sono sotto gli occhi di tutti. "Gli effetti li vediamo quando arriva una pioggia consistente o quando un vento più forte del normale abbatte migliaia di alberi in un colpo solo nelle città - spiega Pileri nella video-intervista con Tiscali Ambiente -. E chiaramente tutti questi eventi sono dovuti a un cambiamento climatico generato anche grazie a una continua cementificazione e alla perdita di un ecosistema i cui servizi sono preziosissimi per l'equilibrio climatico".
Cosa ci sta dicendo quindi il rapporto?
"Che qui non si sta facendo quello che dovremmo fare al più presto, ovvero rallentare di moltissimo il consumo di suolo fino ad azzerarlo e non aspettare il 2050. Questa è una data che ci si è dati giusto per non rispettare nulla. La data giusta è ora, in questo momento".

Le prime cinque Regioni per consumo di suolo si trovano al Nord, più la Campania. E solo 2, Val d'Aosta e Liguria, hanno consumato nell'ultimo anno meno di 50 ettari di territorio. Una tendenza inarrestabile.
"E' così, ma non facciamoci ingannare: i valori di queste ultime due sono bassi perché una è una regione piccolissima e l'altra ha il 47-48% delle areee costiere entro i 300 metri completamente cementificata, una situazione gravissima. Ulteriori 50 ettari in Liguria sono uno sfacelo, sia chiaro. Questi dati poi vanno ripensati, riletti, anche in funzione, per esempio, degli abitanti. Inoltre va sottolineato che questi 7.254 ettari che lei ha citato vanno a sommarsi al cementificato che già esiste".
Lei ha scritto diversi saggi sul suolo. L'ultimo è un testo con un titolo dichiaratamente ambientalista, Dalla parte del suolo, e un sottotitolo, L'ecosistema invisibile, che sembra un atto d'accusa. Cosa significa?
"Non è un tanto un atto d'accusa, l'intento è proprio quello di ridare alle cose il loro vero nome. Il suolo non è una superficie, non è una piattaforma, non è qualcosa che è in attesa di essere consumato, usato, ma è esattamente un ecosistema. Quindi è un corpo che viene dal luogo più affollato del mondo. Purtroppo noi non lo chiamiamo ecosistema, ma continuiamo a chiamarlo 'risorsa', che non è scorretto ma è una parola molto antropocentrica, perché noi le risorse le vogliamo consumare, fondamentalmente. L'ecosistema invisibile è un modo per riportare attenzione sulle due parole fondamentali".
Ce le spieghi.
"Una è 'ecosistema', che è una parola persa e, soprattutto in urbanistica, viene parecchio corrotta. La seconda è 'invisibile', perché effettivamente mentre noi un bosco lo vediamo, il mare sappiamo che cos'è, il suolo è sotto i nostri piedi, quindi è letteralmente invisibile e di conseguenza fatichiamo ad occuparcene. Questo è l'obiettivo del sottotitolo: mettere attenzione su questa coppia di parole diventa una cosa esplosiva e molto responsabilizzante, spero".
Il 5 di dicembre ricorreva la Giornata mondiale del suolo, un'occasione per mettere al centro questo prezioso elemento. Lei scrive che nei 30 centimetri di suolo superficiali si trova il 30% della biodiversità ed è lì che si immagazzina una parte importante della CO2. Nel suo testo si legge ancora che "salvare la nostra terra con i suoi ecosistemi significa salvare noi stessi". Il futuro dell'umanità dipende da questa sensibilità?
"Sì, ma dico anche che il nostro obiettivo non è salvare noi stessi, perché quando vien bene salviamo noi stessi ma nel frattempo abbiamo distrutto quote considerevoli di biodiversità, abbiamo danneggiato la flora e la fauna, abbiamo danneggiato gli insetti e anche i batteri che noi neanche vediamo. E se rimaniamo a 'noi ci siamo salvati', beh moriremo il giorno dopo. Quindi la vera questione è occuparci non di noi stessi ma di ciò che è fuori da noi stessi e quindi della natura. Qui c'è da fare un grosso lavoro culturale".

La via tracciata per la lotta ai cambiamenti climatici è la transizione ecologica che, ovviamente, passa anche per quella energetica. L'abbandono del fossile non è però a costo zero, nel senso che dietro le grandi centrali eoliche e fotovoltaiche a terra, di cui tanto si discute, c'è un prezzo molto alto da pagare, anche in termini di consumo di suolo. Lei ci vede una contraddizione?
"Un'enorme contraddizione che possiamo chiamare forse dilemma. Dobbiamo uscire dal fossile, siamo tutti d'accordo. Ma questo non è indolore e in verità dipende da come si esce. Si può uscire dal fossile applicando una pianificazione rigorosa a questa transizione, per esempio facendo fotovoltaico a partire dalle superfici già degradate, i tetti per intenderci, laddove si possono fare".
E' un'opzione in campo?
"Questa questione pare che noi non la vogliamo assolutamente considerare, quindi l'idea è che ci interessa solamente uscire dal fossile il prima possibile. E siccome chi ci fa uscire è il soggetto privato, perché il soggetto pubblico ha rinunciato, abdicando al suo ruolo di gestore dell'energia nazionale, allora bisogna invogliarlo e quindi gli diamo le garanzie più desiderabili dal suo punto di vista. Ovvero un massimo profitto, un minor inciampo burocratico. E dove si va a depositare? Sui terreni agricoli. E' chiaro che si è prodotta un'enorme corsa, un far west, una corsa ad accaparrarsi terre agricole per fare fotovoltaico a terra, che è la cosa più desiderabile dall'investitore energetico, sia per fare pale oliche laddove c'è un briciolo di vento. E indipendentemente da quelli che sono i danni al suolo, perché ce ne sono davvero tanti. Allora questa cosa qui cosa implica?
Ci dica.
"Riduce la nostra capacità di produrre cibo, riduce la nostra biodiversità. Da un lato noi produciamo energia pulita, ma questa qui non è proprio pulita pulita pulita. Perché, ripeto, è a costo di una risorsa, che è l'ecosistema, il suolo. Vuol dire che domani noi avremo abbastanza cibo? Si sta dicendo: impariamo a mangiare in modo diverso? No, tutt'altro. Quindi l'idea è purtroppo quella di applicare una transizione energetica senza mettere in discussione minimamente il modello di sviluppo. La voce del risparmio energetico è quasi scomparsa. E a ingannarci, arriva la tecnologia, così io non devo più pensare a differenziare la pattumiera, mangiare meno carne, muovermi meno in auto, no. Posso tornare a fare come prima. Questa roba qui non si chiama transizione energetica né ecologica, ma semplicemente ossessione per un modello di sviluppo avido, profittevole e che non si preoccupa minimamente delle generazioni future".
Un'ultima domanda sulla legge Salva-Milano, che permetterà di sanare centinaia di palazzi costruiti nei cortili delle case milanesi, al posto di un box auto o un capanno attrezzi. La procura ha aperto circa 150 fascicoli per altrettanti presunti abusi edilizi. Milano spesso è indicata come esempio di sostenibilità, anche per via dei suoi numerosi parchi cittadini o di costruzioni evocative come per esempio il Bosco Verticale. Ma la sensazione che se ne trae è che al 'dio denaro' si possa sacrificare qualunque cosa. Il suolo anche qui sembra essere la prima vittima, è così?
"Io sono tra i 140 firmatari che chiedono al Senato di non approvare la legge già licenziata dalla Camera. E' una vicenda tristissima che fa parte di quel meccanismo folle e culturale per cui le città oggi devono essere attrattive, devono essere qualcosa che è commerciabile, che è non semplicemente sostenibile, ma sostenibile finanziariamente. E Milano ha interpretato questa cosa alla perfezione, anzi proprio se l'è inventato questo modello e per farlo ovviamente ha bisogno di case che siano glamour, efficienti, tecnologiche, fatte da archistar: un meccanismo chiaramente tossico. Milano si è trasformata in una sorta di Bengodi per il settore immobiliare, senza più tutelare l'interesse generale e quello ambientale".

Milano città fuori controllo?
"Con l'urbanistica in chiave ambrosiana l'attenzione è venuta a meno, hanno immaginato che un box potesse diventare un condominio e lavorando sulla ristrutturazione hanno evitato perfino di pagare tutti quegli oneri di urbanizzazione con i quali avrebbero potuto magari fare una nuova scuola o tantissime altre cose a vantaggio di tutti. Quindi è proprio una speculazione immobiliare che è anche un enorme fallimento culturale, perché Milano ha disegnato un concetto tossico, cioè che le città sono per i ricchi. Questa cosa è folle e ha a che fare con la transizione energetica perché queste città hanno bisogno di tantissima energia. Dove la prendiamo? Non vorremmo mica fare i pannelli solari sopra i tetti dei milanesi, ma figuriamoci, andiamo magari a prenderla in Sardegna o in Puglia, andiamo a prenderla in Sicilia, in Campania, lì, in fondo, cosa vuoi che sia. Adesso sto scherzando, ma mica tanto".