La tarma maggiore della cera è amica dell’ambiente, la sua saliva è in grado di scomporre le plastiche più dure
Benché sia temuta dagli apicoltori, questo insetto potrebbe rivelarsi strategico per lo smaltimento del polietilene, una delle materie plastiche più diffuse al mondo
Il mondo è invaso dalla plastica. Negli ultimi 65 anni questo materiale è stato impiegato in quasi tutti i settori industriali. La produzione, inevitabilmente, è aumentata… del 18.300 per cento. Oggi, quella che per decenni è stata considerata un materiale straordinario viene visto però come una minaccia per la Natura e per la stessa salute dell’uomo. Ma l'enorme problema dell'inquinamento provocato dalla plastica non è dovuto alla plastica in quanto tale, ma alla cattiva gestione del suo smaltimento. Attualmente soltanto il 10-15 per cento delle materie plastiche generate nel mondo viene recuperato. Il resto viene incenerito, accumulato in discarica o, peggio, finisce nei corsi d’acqua, andando a inquinare i nostri oceani (che inghiottiscono dai 4 ai 12 milioni di tonnellate di plastica all’anno). Il corretto riciclo della plastica, e lo sviluppo di un’economia davvero circolare, non sembrano di fatto obiettivi facilmente raggiungibili. Una possibile soluzione, quanto meno per il polietilene, potrebbe arrivare dalla stessa Natura. Negli anni la ricerca scientifica ha identificato diversi microrganismi in grado di biodegradare questi materiali. Si tratta prevalentemente di batteri e funghi, ma anche loro richiedono un pretrattamento “aggressivo” - non certo sostenibile - che, attraverso l’ossidazione, consenta la fagocitazione della plastica.

Di recente, uno studio condotto da un team di scienziati coordinati dalla dottoressa Federica Bertocchini, del Centro de Investigaciones Biológicas Margarita Salas - Consejo Superior de Investigaciones Cientificas (CIB-CSIC), presso il Centro di ricerca biologica Margarita Salas (CIB-CSIC), ha identificato un alleato strategico. Si tratta della tarma maggiore della cera o tignola degli alveari (nome scientifico Galleria mellonella) che grazie ai potenti enzimi di cui dispone sembra in grado di degradare autonomamente la plastica più dura. Lo studio, pubblicato sulle pagine di Nature Communications, apre a una serie di applicazioni per il trattamento dei rifiuti di plastica.
“Affinché la plastica si degradi - spiega la responsabile della ricerca - l’ossigeno deve penetrare nel polimero. Questo è il primo passaggio dell’ossidazione, che solitamente è il risultato dell’esposizione ai raggi solari o alle alte temperature, e rappresenta un collo di bottiglia che rallenta il degrado delle materie plastiche come il polietilene, uno dei polimeri più resistenti. Ecco perché, in condizioni ambientali normali, la plastica impiega mesi o addirittura anni per degradarsi. Gli enzimi ora scoperti sono i primi e gli unici conosciuti in grado di degradare il polietilene plastico ossidando e scomponendo il polimero molto rapidamente (dopo alcune ore di esposizione), senza richiedere pretrattamenti e lavorando a temperatura ambiente”.
I ricercatori, molti dei quali italiani, hanno analizzato al microscopio elettronico la saliva della tarma maggiore della cera, rilevando al suo interno un elevato contenuto proteico dal quale sono stati isolati due enzimi: Demetra e Cerere.
“L’enzima Demetra ha un effetto significativo sul polietilene - ha evidenziato Bertocchini -, lasciando sulla superficie della plastica dei piccoli crateri visibili ad occhio nudo. I primi segni di degradazione sono evidenti subito dopo l’esposizione al potente enzima. Anche Cerere ossida il polimero, ma non lascia segni visibili, suggerendo che i due enzimi hanno un effetto diverso sul polimero”. La scoperta sembra esser di quelle importante, ma i ricercatori ammettono serviranno ancora degli anni per capire i meccanismi d’azione dei due enzimi. “Sono necessarie ulteriori ricerche - conclude l’esperta - che combinano strumenti biotecnologici con la conoscenza della biologia di questi insetti”.