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L'inquinamento ha fatto cambiare la dieta: scelta fatale per i delfini

Il triste destino dei bellissimi animali in Florida. Uno studio durato anni

fonte: Tiscali Ambiente   
Ansa

Le conseguenze dell’inquinamento umano sono spesso nascoste e difficili da studiare, come dimostra uno studio durato anni sulla morte di decine di delfini in Florida.

Una ricerca guidata dal Blue World Research Institute, pubblicata di recente su Frontiers in Marine Science, ha dimostrato come un aumento esponenziale del fitoplancton marino - conseguenza diretta dell’inquinamento umano - abbia portato alla fame e alla morte decine di delfini.

"Abbiamo collegato mortalità e malnutrizione a un ridotto apporto energetico in seguito a un cambiamento nella dieta dei delfini", ha affermato il dott. Charles Jacoby del Florida Flood Hub for Applied Research and Innovation, uno degli autori dell’articolo: "Abbiamo collegato i cambiamenti nella dieta ai cambiamenti nella disponibilità di prede e abbiamo collegato i cambiamenti nelle prede alle riduzioni a livello di sistema nell'abbondanza di fanerogame marine e macroalghe alla deriva. Queste riduzioni sono state causate dall'ombreggiatura dovuta a una fioritura intensa, estesa e duratura di fitoplancton”.

Nel 2013 erano morti 77 delfini per fame

Nel 2013 gli scienziati che seguivano la laguna di Indian River notarono che dei 337 delfini sotto osservazione il 64% era sottopeso e il 5% emaciato. In breve tempo morirono 77 esemplari. Una mortalità di molto superiore a quella statisticamente prevista. Come spiega la dottoressa Megan Stolen, prima autrice dell’articolo e ricercatrice del Blue World Research Institute: “un evento di mortalità insolita è un evento inaspettato che comporta una significativa moria di qualsiasi mammifero marino. L’evento del 2013 è stato caratterizzato da un marcato aumento della mortalità e da prove diffuse di malnutrizione”.

I "maxi delfini" ridotti alla fame

I delfini tursiopi sono animali di grandi dimensioni, capaci di vivere a lungo, e si nutrono di molte specie diverse di prede. Questo li rende particolarmente sensibili ai cambiamenti nell’ambiente marino in cui vivono. Due anni prima dell’evento inatteso di elevata mortalità, si era verificato un fenomeno noto come “fioritura di fitoplancton” nella laguna, probabilmente causato da sostanze nutrienti rilasciate dall’attività umana. Questa fioritura ha bloccato la luce solare, danneggiando le piante acquatiche e le alghe che crescono sul fondo, fondamentali per le prede dei delfini. Con la diminuzione delle fonti di cibo, i delfini potrebbero aver incontrato difficoltà nel procurarsi il necessario per sopravvivere.

È però difficile tracciare le abitudini alimentari dei delfini - ciò di cui si nutrono sulla superficie dell’acqua non fornisce un quadro completo della loro dieta, pertanto i ricercatori hanno optato per un approccio diverso, concentrando sulle biopsie muscolari di delfini spiaggiati nell’arco dei vent’anni tra il 1993 e il 2013. In questo modo sono riusciti a tracciare i cambiamenti dietetici nel tempo e confrontarli con altri parametri quali la pesca nella zona e le variazioni nella flora sottomarina. Ne è emerso che un cambiamento chiave nell’habitat, la diminuzione di macroalghe e fanerogame marine le cui praterie sono state messe in ombra dalla fioritura di fitoplancton, ha ridotto il numero di prede naturali dei delfini.

I delfini hanno lottato per mangiare e sopravvivere

Come sintetizzato da Wendy Noke Durden dell’Hubbs-Seaworld Research Institute: “In combinazione, il cambiamento nelle diete e la presenza diffusa di malnutrizione suggeriscono che i delfini stavano lottando per catturare abbastanza prede di qualsiasi tipo. La perdita di habitat strutturali chiave potrebbe aver ridotto il successo complessivo della ricerca di cibo, causando cambiamenti nell’abbondanza e nella distribuzione delle prede”. I dati coincidono anche con le cause di morte registrate per i delfini spiaggiati. Tra il 2000 e il 2020, la malnutrizione ha causato il 17 per cento di tutti i decessi registrati, ma nel 2013 questa cifra è salita al 61 per cento.

fonte: Tiscali Ambiente   
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