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Le piccole isole lanciano la loro accusa: "Ecco chi sta distruggendo il clima"

Alla Corte internazionale di giustizia inizia il "processo" del secolo per ottenere giustizia climatica

Stefania Divertitodi Stefania Divertito   
Ansa

I rappresentanti degli Stati vulnerabili hanno dichiarato ai giudici della Corte internazionale di giustizia (CIG) che una manciata di Paesi dovrebbe essere ritenuta legalmente responsabile degli impatti dei cambiamenti climatici.

È iniziato all'Aia il procedimento pèresso la Corte e in questi giorni ci sono le prime udienze. Lunedì, Ralph Regenvanu, inviato speciale di Vanuatu per i cambiamenti climatici e l'Ambiente, ha affermato che la responsabilità della crisi climatica ricade su "una manciata di Stati facilmente identificabili" che hanno prodotto la stragrande maggioranza delle emissioni di gas a effetto serra, ma che sono quelli che subiscono meno danni dagli impatti. La corte ha sentito come gli Stati insulari del Pacifico, come Vanuatu, stiano sopportando il peso dell'innalzamento del livello del mare e di disastri sempre più frequenti e gravi.

In prima linea nella crisi climatica

"Ci troviamo in prima linea in una crisi che non abbiamo creato noi", ha dichiarato Regenvanu. L'udienza è il culmine di anni di campagne da parte di un gruppo di studenti di legge delle isole del Pacifico e della diplomazia guidata da Vanuatu. Nel marzo dello scorso anno, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato all'unanimità una risoluzione che chiedeva alla Corte internazionale di giustizia di fornire un parere consultivo sugli obblighi che gli Stati hanno di affrontare il cambiamento climatico e sulle conseguenze legali che potrebbero avere in caso di inadempienza.

Anche gli Stati Uniti e la Cina, i maggiori emettitori mondiali, faranno delle dichiarazioni, anche se nessuno dei due riconosce pienamente l'autorità della Corte. Ilan Kiloe, consulente legale del Melanesian Spearhead Group, un sottogruppo regionale che comprende Figi, Papua Nuova Guinea, Isole Salomone e Vanuatu, ha dichiarato: "La dura realtà è che molti dei nostri popoli non sopravvivranno". Durante il primo giorno di udienze, gli Stati hanno discusso se i loro obblighi legali vadano oltre l'UNFCCC. L'ONU descrive l'accordo di Parigi, approvato nel 2015, come un "trattato internazionale giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici", ma gli Stati sono liberi di fissare i propri obiettivi e le proprie politiche nei contributi nazionali. La Germania e l'Arabia Saudita sostengono di non avere obblighi al di fuori di questo trattato. Wiebke Rückert, direttore per il diritto pubblico internazionale della Germania, ha affermato che l'accordo di Parigi ha raggiunto un "attento equilibrio" tra impegni legali e non legali e qualsiasi tentativo di limitarlo potrebbe mettere in serio pericolo la volontà degli Stati di partecipare ai processi politici. Zachary Phillips, avvocato di Antigua e Barbuda, ha invece affermato che il rispetto dell'Accordo di Parigi è "necessario ma potrebbe non essere sufficiente" per rispettare il diritto internazionale consuetudinario, compreso l'obbligo di prevenire i danni. Oltre agli Stati, alcune organizzazioni selezionate sono state autorizzate a rilasciare dichiarazioni. Tra queste, l'Opec, l'organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'UE e l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura.

Stefania Divertitodi Stefania Divertito   
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