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Cop29 di Baku: tutto quello che c'è da sapere sull'evento climatico dell'anno e perché è vitale per il mondo intero

Domani si inizia: il futuro del Pianeta dipenderà anche dalle prossime due settimane nello stato fossile dell'Azerbaigian

Stefania Divertitodi Stefania Divertito   
Ansa

Gli ultimi dati non lasciano spazio all'ottimismo: il 2024 sarà quasi sicuramente  uno degli anni più caldi mai registrati. Ce lo dice Copernicus che, per chi si occupa di clima, è un po' il database dei database. Un riferimento per capire cosa sta accadendo.

Domani, lunedì 11 novembre, si parte: iniziano le due settimane (due? Non si sa bene, dipenderà dall'accordo finale) di negoziati mondiali sul clima. È un appuntamento rituale, sembra quasi un evento stanco che si autoracconta ogni 12 mesi, ma non è così. È un momento importantisismo, che ci riguarda tutte e tutti e noi di Tiscali ve lo spiegheremo cercando di sciogliere i concetti più complicati e di mostrarvi quanto ogni passaggio di quanto accade a Baku sia importante anche nelle nostre vite. Iniziamo.

Baku è la capitale dell'Azerbaigian, lo Stato che quest'anno organizza la Cop29, la conferenza delle parti sul cambiamento climatico. Quest'anno c'è un tema che sovrasta ogni altro, la finanza: i negoziati sul clima delle Nazioni Unite di quest'anno si concentrano sullo sblocco dei trilioni di dollari necessari ai Paesi in via di sviluppo per affrontare la crisi climatica.L'obiettivo principale della Cop29 che si terrà a Baku a novembre, sotto la presidenza dell'Azerbaigian, è scoprire quanto denaro i Paesi sviluppati si impegneranno a fornire ai Paesi vulnerabili per aiutarli a far fronte a un clima estremo.

La finanza per il clima: cosa è e perchè deve interessarci

Un sussidio per un nuovo hotel a basso consumo idrico, ad esempio, può essere considerato un finanziamento per il clima? Una nuova infrastruttura che porta energia rinnovabile lo è? È finanza per il clima spendere denaro pubblico per stoccare batterie? Una definizione certa non c'è e questo è inparte un problema, perchè il rischio di green washing è molto concreto. Per “finanza per il clima” si intende qualsiasi somma di denaro spesa, pubblica o privata, per raggiungere l'obiettivo dell'Accordo di Parigi. In concreto, ciò include tutti i finanziamenti (pubblici o privati) che promuovono lo sviluppo economico a basse emissioni di carbonio e l'adattamento: energia eolica, solare, nucleare, idrogeno pulito, ecc.; auto elettriche; transizione ecologica nell'agricoltura; riforestazione; isolamento termico delle abitazioni; garantire l'accesso all'acqua; servizi igienico-sanitari; sistemi sanitari in grado di gestire le ondate di calore e le alluvioni; dighe per far fronte all'innalzamento del livello delle acque, ecc. Come si può immaginare, la linea di demarcazione tra aiuti allo sviluppo e finanziamenti per il clima è talvolta confusa.

Quanti soldi servono per una giusta finanza per il clima

Uno studio della Climate Policy Initiative ha stimato il fabbisogno mondiale di “finanza climatica” in 10.000 miliardi di dollari all'anno tra il 2030 e il 2050. A fronte di circa 1.300 miliardi di dollari spesi nel 2021/2022. Tuttavia, nell'ambito delle Nazioni Unite e nei media, il termine “finanza climatica” si riferisce più che altro alle difficoltà incontrate dai Paesi in via di sviluppo nell'ottenere i finanziamenti internazionali di cui hanno bisogno per realizzare una “giusta transizione” verso un futuro più verde e per far fronte ai disastri legati al clima. Il loro fabbisogno (esclusa la Cina) è stato stimato in 2.400 miliardi di dollari all'anno da qui al 2030 da esperti incaricati dalle Nazioni Unite, secondo i quali nel 2019 sono stati mobilitati solo 550 miliardi di dollari.

Chi deve pagare la finanza per il clima

La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), adottata a Rio nel 1992, ha elencato i Paesi tenuti a fornire assistenza finanziaria al resto del mondo in virtù della loro responsabilità storica. Questi Paesi - Stati Uniti, Unione Europea, Giappone, Regno Unito, Canada, Svizzera, Turchia, Norvegia, Islanda, Nuova Zelanda e Australia - si sono impegnati nel 2009 ad aumentare gli aiuti per il clima fino alla cifra tonda di 100 miliardi di dollari all'anno da qui al 2020 e fino al 2025. Ma non hanno raggiunto l'obiettivo fino al 2022 e questo ritardo ha ampliato il divario diplomatico tra Nord e Sud. Alla Cop29, i firmatari dell'Accordo di Parigi dovrebbero concordare un obiettivo oltre il 2025. L'India ha proposto 1.000 miliardi di dollari all'anno. Si tratta di una provocazione per i Paesi ricchi, che sottolineano di essere responsabili solo del 30% delle emissioni storiche di gas serra e chiedono di allargare la base dei donatori alla Cina e agli Stati del Golfo. Oggi, la maggior parte di questi aiuti viene convogliata attraverso le banche di sviluppo o attraverso fondi cogestiti con i Paesi interessati, come il Fondo verde per il clima (12,8 miliardi di dollari ricevuti dai Paesi donatori per il 2024-2027) o il Fondo globale per l'ambiente (5 miliardi di dollari per il 2022-2026).

Dove troveranno i soldi per il clima i paesi ricchi?

I 100 miliardi di dollari di aiuti sono stati pesantemente criticati perché due terzi di essi sono sotto forma di prestiti, spesso a tassi agevolati ma accusati di alimentare il debito dei Paesi poveri. Anche se aumentato, il futuro obiettivo finanziario sarà ancora molto al di sotto del fabbisogno, ma il Sud vi attribuisce un grande peso simbolico e ritiene che possa essere usato come leva per sbloccare altri flussi finanziari, in particolare quelli privati. La diplomazia finanziaria è molto presente anche alla Banca Mondiale, al FMI e al G20, la cui presidenza brasiliana vuole creare una tassa globale sui Paesi più ricchi. Promosse dal capo dell'Onu, Antonio Guterres, idee per tasse innovative, ad esempio sull'aviazione o sul trasporto marittimo, sono allo studio qua e là, ad esempio in un gruppo di lavoro lanciato da Francia, Kenya e Barbados. In un'altra proposta, l'Azerbaigian ha chiesto ai produttori di combustibili fossili di contribuire a un nuovo fondo “di concetto” per i Paesi in via di sviluppo. Per quanto riguarda il fondo “per le perdite e i danni” (Loss and damage) istituito alla COP28 per sostenere i Paesi poveri colpiti da disastri climatici, è ancora lontano dall'essere operativo (661 milioni di dollari di promesse finora).
Insomma, per adesso l'elefante ha partorito il topolino. Vedremo da lunedì in poi cosa succederà. 

 

Stefania Divertitodi Stefania Divertito   
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