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Biodiversità da salvare, dalla Cop15 all'esempio della Sardegna che crea una "banca" e punta sulle comunità

Il vertice dell'Onu crea un fondo per difendere le specie, mentre si agisce anche a livello locale: l'Isola apre un sito internet per raccogliere le istanze sulle varietà agricole da tutelare. Parla Costa dell'Agenzia Laore e l'imprenditore dell'anguria biotipica

di Antonella Loi   
Angurie biodiverse di Gonnos (Foto dal sito Agricura)
Angurie biodiverse di Gonnos (Foto dal sito Agricura)

Se come dice l'Ispra, negli ultimi 100 anni si è verificata una perdita enorme di agro-biodiversità, con il 75% delle specie coltivate ormai scomparso, dall'altro capo del racconto c'è che quella che stiamo perdendo è la disponibilità di cibo sulle nostre tavole. Un allarme che non va sottovalutato. Anche perché a drammatizzare ancor di più la situazione ci si mettono gli effetti dei cambiamenti climatici che stanno incidendo in "maniera rilevante sulle quantità e sulle qualità delle produzioni agricole". Spiega l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che "il solo effetto della maggior temperatura provocherà almeno il 10% di diminuzione nelle rese delle maggiori colture alimentari".

La perdita di agro-biodiversità, in altre parole, incide negativamente sulla qualità della nostra vita. Cosa si sta facendo quindi per arginare questa emorragia di specie animali e vegetali che condizioneranno inevitabilmente il vivere sociale del futuro? A livello globale proprio in questi giorni è in corso la Cop 15, l'annuale conferenza dell'Onu sulla tutela della flora e della fauna che, stanziando fondi preziosi, certifica l'urgenza degli interventi per arrestare l'emorragia genetica. Ma il tema costituisce anche uno dei pilastri del Green New Deal dell'UE, a rappresentare un ambizioso piano a lungo termine per "proteggere e ripristinare la biodiversità, la natura e il buon funzionamento degli ecosistemi". 

Allarme erosione di specie autoctone

E' chiaro poi che norme e soldoni dovranno tradursi in azioni a livello locale e iper-locale, incidendo proprio là nei territori dove avviene l'erosione delle specie, a causa dei tempi che trascinano le campagne verso un'industrializzazione delle produzioni, con comunità rurali sempre più scarne e mai così in difficoltà. La società dei consumi impone modelli e porta le sue regole. "L'agricoltura e l’alimentazione dipendono dalla diversità di relativamente poche piante e animali", dice infatti l'Ispra in un suo recente intervento. La conseguenza è che "oggi solo 150 specie delle 7000 disponibili come nutrimento umano sono coltivate a livello significativo nel mondo e solo 3 (mais, grano e riso) garantiscono circa il 60% del fabbisogno di proteine e calorie nella dieta umana".

In Sardegna si corre ai ripari

Risulta interessante sotto questo aspetto quanto sta avvenendo in Sardegna, l'Isola regina italiana della biodiversità che in alcuni settori come quello viticolo vanta il 60 per cento dell'intero patrimonio biodiverso nazionale. Già nel 2014 la Regione autonoma aveva emanato una legge specifica che sta però trovando attuazione solo negli ultimi mesi. "E’ importante la consapevolezza e lo sono le azioni a livello planetario - dice a Tiscali News Tonino Costa, referente dell'Unità organizzativa Tutela e valorizzazione della biodiversità agricola sarda dell'Agenzia Laore -. Il macro però deve essere calato nelle piccole comunità, perché ogni attività svolta da una piccola comunità antropica ha un valore ecologico ma anche identitario e potenzialmente economico. E' un passaggio culturale che deve essere favorito dalle istituzioni", spiega l'agronomo.

Il compito che la Regione si è dato è proprio quello di salvare e recuperare. "Più ci muoviamo e più scopriamo che da una parte ci sono tante specie che stavano sfuggendo al rilevamento, ma molte sono irrimediabilmente scomparse", dice Costa. "Il lavoro parte da una base che sono le varietà più conosciute - aggiunge -. Nel nostro caso la pira camusina, la mela miali, la mela trempa orrùbia. Poi abbiamo i vitigni: ne sono stati scoperti 32 autoctoni che hanno i nomi più suggestivi e ciò non esclude che ce ne siano altri".

La mela "trempa orrùbia" coltivata nel territorio di Ussàssai (Nu)

Comunità di tutela e Banca del germoplasma

Tempus fugit, dicevano i latini, la necessità dell'azione è stretta attualità. "La legge sarda anticipa quella italiana sulle 'Comunità del cibo', che da noi prendono il nome di 'Comunità di tutela della biodiversità' - continua - e rappresentano l'accordo tra comitati di cittadini, istituzioni, scuole, agricoltori, commercianti, ristoranti per valorizzare la risorsa biotipica coltivandola, scambiandola e utilizzandola come cibo. Perché la salvi se la usi e la porti in tavola".

La "comunità" diventa quindi il pilastro portante della tutela delle forme genetiche, che vanno a integrare il lavoro fatto attraverso altri tre punti focali. Il primo è il 'repertorio del germoplasma' dove viene iscritta la risorsa e a farlo possono essere i cittadini, i comitati, gli enti locali, mentre il secondo è la 'conservazione' che può avvenire in situ ed ex situ, ovvero nei territori vocati o in uno dei centri di ricerca presenti nell'Isola. "Si aggiungono le 'reti', fondamentali per far circolare il materiale genetico nel territorio, scambio gratuito dei semi o delle marze, per coinvolgere il numero più alto possibile di persone che lo coltivino e lo detengano, i cosiddetti 'custodi', in modo da allontanare il rischio di estinzione", sottolinea Costa. Il mezzo ulteriore che garantisce la conservazione è la "Banca del germoplasma" dove le risorse confluiscono dopo l'inserimento delle istanze di riconoscimento attraverso un sito internet (al quale possono accedere anche i singoli cittadini ndr) e l'attenta analisi della commissione tecnico-scientifica appena costituitasi.

Il sito della Regione Sardegna per la biodiversità

L'imprenditore: creare cultura della biodiversità

C'è però chi, pur riconoscendo la bontà dello sforzo fatto dalla legge, lamenta una eccessiva burocratizzazione delle procedure e la poca attenzione verso l'educazione, la cultura e l'informazione sulle specie agroalimentari biodiverse che poi, è chiaro, dovranno pur essere commerciate. "La legge di tutela l'abbiamo voluta prima di tutto noi aziende e hobbisti", dice Andrea Ghiani, titolare di Agricura, una delle due aziende agricole di Gonnosfanadiga, piccolo centro del Sud Sardegna, che coltivano 'l'anguria di Gonnos', biodiversità tutelata da un Pat. "E' una norma che parte dal basso - spiega l'agricoltore - quindi è positiva perché contrasta chi fino a ieri liberamente poteva fare incetta delle nostre specie magari per coltivarle e commercializzarle altrove. Ma ci sono anche le note negative", dice guardando alla eccessiva burocratizzazione "che costringe le piccole e piccolissime realtà a sostenere i costi della certificazione, come avviene per le Dop o le Igp". E spiega: "Perché in Sardegna solo l'1-2% dell'olio è Dop? Esattamente per questo motivo".

Ma lo sguardo va anche oltre. "Non sarebbe stato meglio trovare un sistema per aiutare le micro aziende, ovvero quelle che più tutelano la biodiversità?", è la domanda dell'imprenditore. Il modo giusto è per Ghiani la "creazione della cultura della biodiversità", gettando le basi per "favorire la commercializzazione e fare in modo che sia conveniente per le aziende produrla perché c'è un mercato di sbocco". Insomma le 'comunità di tutela', a cui la legge demanda il compito di tenere vive cultura e tradizioni, "non sono uno strumento sufficiente", è il pensiero dell'agricoltore che nella sua azienda produce anche olio e miele seguendo le regole della coltivazione integrata. In ogni caso la strada per la tutela dell'agro biodiversità sarda è stata imboccata e, al netto delle criticità e fatti salvi correttivi in corso d'opera, resta fondamentale tenere alta l'attenzione sul tema. 

di Antonella Loi   
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