È la Giornata internazionale dell’orso polare, il gigante dell’Artico che rischia l’estinzione per la crisi climatica
Sul Pianeta restano poco meno di 30mila orsi polari divisi in 19 sottopopolazioni ma la specie potrebbe estinguersi entro la fine del secolo se non agiremo per contrastare l’aumento della temperatura globale
Il 27 febbraio torna la giornata internazionale dedicata all’orso polare, specie iconica e on a caso simbolo della crisi climatica e del suo impatto sulla biodiversità. Sul Pianeta ne restano poco meno di 30mila divisi in 19 sottopopolazioni e, secondo le previsioni, la specie potrebbe vedere la propria popolazione totale ridotta di 1/3 nei prossimi 30 anni. Il ghiaccio marino artico, habitat dell’orso polare, si sta riducendo sia in estensione che in spessore a una velocità senza precedenti, diminuendo così anche l’effetto fondamentale dello “schermo bianco” in grado di riflettere energia termica nello spazio e regolare così il clima del nostro Pianeta.
La casa dell’orso si scioglie
La fusione del permafrost terrestre e della banchisa polare causa da un lato una drammatica accelerazione dell’immissione di gas climalteranti in atmosfera, e dall’altro diminuisce anche l’effetto benefico che la distesa glaciale artica ha sul clima a livello globale. I più recenti rilevamenti confermano che l’aumento della temperatura in Artico è drammaticamente superiore alla media mondiale, con alcune regioni che presentano un aumento fino a 2.7°C ogni dieci anni, corrispondente addirittura a 5-7 volte il tasso di crescita globale della temperatura. Incalzato da una ormai sistematica riduzione del ghiaccio marino, il suo habitat, che si sta riducendo sia in estensione che in spessore a una velocità senza precedenti, l’orso polare vede diminuire le sue tradizionali zone di caccia, perdendo così peso fino a rischiare di morire di fame e fino ad avere conseguenze drammatiche sulla fertilità.
Terreno di caccia sempre più ristretto
È per questo che si celebra l’International Polar Bear Day, per offrire opportunità per la sensibilizzazione e l’azione. Se da un lato la riduzione del ghiaccio marino porta anche a un minor effetto dello “schermo bianco” in grado di riflettere energia termica nello spazio e regolare il clima del Pianeta, dall’altro porta alla riduzione delle tradizionali zone di caccia degli orsi polari e ciò accade nonostante gli orsi stiano provando a trovare nuovi adattamenti, come andare a caccia di uccelli (invece che cacciare foche, le loro prede abituali, sulla banchisa polare) o ridurre i consumi di energia, entrando in una sorta di “letargo” estivo e riducendo gli spostamenti.
Strategie di sopravvivenza a rischio
Lo mostra anche il recente studio del Servizio geologico degli Stati Uniti di Anchorage in Alaska, pubblicato sulla rivista Nature Communications, che per 3 anni ha monitorato le infruttuose strategie di sopravvivenza al caldo tentate da 20 orsi polari: 19 orsi su 20 hanno mostrato, infatti, drammatiche perdite di peso. La ricerca di cibo porta gli orsi anche ad avvicinarsi ai villaggi, creando così occasioni di conflitto con le comunità locali e poi, attraverso l’ingestione di prede contaminate dagli inquinanti sempre più diffusi nei mari, gli orsi polari rischiano di accumulare sostanze tossiche (processo noto come “biomagnificazione”), che possono causare danni fisiologici permanenti agli animali e avere drammatici effetti sulle loro capacità riproduttive.
Sempre più sulla terraferma
Se, inoltre, il loro habitat è la banchisa ghiacciata ma la banchisa si sta sciogliendo, è naturale che l’orso sia costretto a spostarsi sempre più sulla terraferma. Rispetto a poco più di un decennio fa, per esempio, i periodi senza ghiaccio nella Baia di Hudson, in Canada, sono aumentati di tre settimane e spingono gli orsi polari a vivere sulla terraferma per circa 130 giorni e dunque a dover cercare per più tempo forme di cibo alternative. Rispetto a poco più di un decennio fa, i periodi senza ghiaccio nella Baia di Hudson, in Canada, sono aumentati di tre settimane e spingono gli orsi polari a vivere sulla terraferma per circa 130 giorni e dunque a dover cercare per più tempo forme di cibo alternative.