Ecosistemi verso il collasso, i dati globali rivelano una realtà più grave del previsto
Il punto di non ritorno sarà raggiunto molto prima. Almeno 20 gli ecosistemi in crisi, e oltre il 20 per cento quelli sull’orlo del baratro
Secondo lo studio “Earlier collapse of Anthropocene ecosystems driven by multiple faster and noisier drivers”, pubblicato su Nature Sustainability da Simon Willcock, professore di sostenibilità alla Bangor University, John Dearing, professore di geografia fisica dell’università di Southampton e Gregory Cooper, postdoctoral research Fellow in resilienza ecologico-sociale all’università di Sheffield e John Addy dell’Intelligent Data Ecosystems di Rothamsted Research, ci sono «segnali che gli ecosistemi si stanno degradando anche più rapidamente di quanto si pensasse in precedenza». Su The Conversation, Willcock, Dearing e Cooper ricordano che «in tutto il mondo, le foreste pluviali stanno diventando savana o terreni agricoli, la savana si sta prosciugando e si sta trasformando in deserto e la tundra ghiacciata si sta sciogliendo. In effetti, gli studi scientifici hanno ora registrato “cambi di regime” come questi in più di 20 diversi tipi di ecosistema in cui sono stati superati i punti di non ritorno. In tutto il mondo, oltre il 20% degli ecosistemi rischia di collassare o trasformarsi in qualcosa di diverso».
I tre scienziati avvertono che «questi collassi potrebbero verificarsi prima di quanto si pensi. Gli esseri umani stanno già mettendo sotto pressione gli ecosistemi in molti modi diversi, quelli che chiamiamo stress. E quando si combinano questi stress con un aumento delle condizioni meteorologiche estreme dovute al clima, la data in cui questi punti critici vengono superati potrebbe essere anticipata fino all’80%. Questo significa che un collasso dell’ecosistema che in precedenza ci saremmo aspettati di evitare fino alla fine di questo secolo potrebbe verificarsi appena nei prossimi decenni. Questa è la cupa conclusione della nostra ultima ricerca, pubblicata su Nature Sustainability». La crescita della popolazione umana, l’aumento della domanda economica e le concentrazioni di gas serra esercitano pressioni sugli ecosistemi e sui territori per fornire cibo e mantenere servizi essenziali come l’acqua pulita e i ricercatori evidenziano che «anche il numero di eventi climatici estremi è in aumento e non farà che peggiorare. Quello che ci preoccupa davvero è che gli estremi climatici potrebbero colpire ecosistemi già stressati, che a loro volta trasferiranno stress nuovi o maggiori a qualche altro ecosistema, e così via. Questo significa che un ecosistema che collassa potrebbe avere un effetto a catena sugli ecosistemi vicini attraverso cicli di feedback successivi: uno scenario “ecological doom-loop”, con conseguenze catastrofiche».
Con il nuovo studio i ricercatori volevano capire quanto stress possono sopportare gli ecosistemi prima di collassare e ci sono riusciti modelli al computer che simulano come funzionerà un ecosistema in futuro e come reagirà ai cambiamenti. Willcock, Dearing e Cooper spiegano che «abbiamo utilizzato due modelli ecologici generali che rappresentano le foreste e la qualità dell’acqua del lago, e due modelli specifici per località che rappresentano la pesca della laguna di Chilika nello Stato indiano orientale di Odisha e l’isola di Pasqua (Rapa Nui) nell’Oceano Pacifico. Questi ultimi due modelli includono entrambi esplicitamente le interazioni tra le attività umane e l’ambiente naturale. La caratteristica chiave di ogni modello è la presenza di meccanismi di feedback, che aiutano a mantenere il sistema equilibrato e stabile quando le sollecitazioni sono sufficientemente deboli da essere assorbite. Ad esempio, i pescatori del lago Chilika tendono a preferire la cattura di pesci adulti mentre lo stock di pesce è abbondante. Finché rimangono abbastanza adulti per riprodursi, questo può essere stabile. Tuttavia, quando le sollecitazioni non possono più essere assorbite, l’ecosistema supera bruscamente un punto di non ritorno – il tipping point – e collassa. A Chilika, questo potrebbe verificarsi quando i pescatori aumentano le catture di novellame durante la scarsità [di pesce], il che compromette ulteriormente il rinnovo dello stock ittico».
I ricercatori hanno utilizzato un software per modellare più di 70.000 diverse simulazioni e dicono che «in tutti e 4 i modelli, le combinazioni di stress ed eventi estremi hanno anticipato tra il 30% e l’80% la data di un punto di non ritorno previsto. Questo significa che un ecosistema destinato a collassare negli anni ’90 del 2000 a causa dell’aumento strisciante di un’unica fonte di stress, come le temperature globali, potrebbe, nel peggiore dei casi, collassare negli anni ’30 del 2000, una volta che si tiene conto di altri problemi come precipitazioni estreme, inquinamento o un improvviso picco nell’utilizzo delle risorse naturali. E’ importante sottolineare che nelle nostre simulazioni circa il 15% dei collassi ecosistemici si è verificato a seguito di nuovi stress o eventi estremi, mentre lo stress principale è stato mantenuto costante. In altre parole, anche se crediamo di gestire gli ecosistemi in modo sostenibile mantenendo costanti i principali livelli di stress – ad esempio regolando le catture di pesce – è meglio che non ci siano nuovi stress ed eventi estremi».
Studi precedenti avevano suggerito che i costi significativi derivanti dal superamento dei punti di non ritorno nei grandi ecosistemi si faranno sentire a partire dalla seconda metà di questo secolo, ma i risultati del nuovo studio suggeriscono che questi costi potrebbero verificarsi molto prima: «Abbiamo scoperto. aggiungono i ricercatori – che la velocità con cui viene applicato lo stress è vitale per comprendere il collasso del sistema, il che è probabilmente rilevante anche per i sistemi non ecologici». In effetti, la maggiore velocità sia della copertura delle news che dei processi di mobile banking è stata recentemente invocata come aumento del rischio di fallimento della banca. Come ha fatto notare la giornalista Gillian Tett: «Il crollo della Silicon Valley Bank ci ha dato un’orribile lezione su come l’innovazione tecnologica possa cambiare inaspettatamente la finanza (in questo caso intensificando il digital herding). I recenti flash crashes anomali ne forniscono un altro. Tuttavia, questi sono probabilmente un piccolo assaggio dei cicli di feedback virali del futuro».
Ma il confronto tra sistemi ecologici ed economici si esaurisce qui. Willcock, Dearing e Cooper concludono su The Conversation: «Le banche possono essere salvate fintanto che i governi forniscono capitale finanziario sufficiente nei salvataggi. Al contrario, nessun governo può fornire il capitale naturale immediato necessario per ripristinare un ecosistema collassato. Non c’è modo di ripristinare gli ecosistemi collassati entro un lasso di tempo ragionevole. Non ci sono salvataggi ecologici. In termini finanziari, dovremo solo incassare il colpo». Gli scienziati avvertono che più di un quinto degli ecosistemi del pianeta, inclusa la foresta pluviale amazzonica, sono a rischio di distruzione catastrofica, quindi è probabile che assisteremo a un disastro naturale globale e Willcock ha detto a The Guardian che «Potrebbe accadere molto presto. Realisticamente, potremmo essere l’ultima generazione a vedere l’Amazzonia».
Lo studio scatenerà probabilmente un acceso dibattito perché, a differenza del legame consolidato e definitivamente provato tra combustibili fossili e riscaldamento globale, la scienza dei tipping points e delle loro interazioni è relativamente poco sviluppata e su questo tema i rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sono stati finora molto più cauti, affermando per esempio che c’era la possibilità di un punto di non ritorno in Amazzonia solo “entro” il 2100. Ma un famoso scienziato brasiliano, Carlos Afonso Nobre dell’Instituto Nacional de Pesquisas da Amazônia (INPA) e del Massachusetts Institute of Technology, aveva già detto insieme ad altri meteorologi che «questo potrebbe avvenire molto prima». Anche se la portata del nuovo studio era territorialmente limitata, gli autori hanno affermato che «i risultati hanno dimostrato la necessità che i responsabili politici agiscano con maggiore urgenza» e Dearing evidenzia che «precedenti studi sui tipping points ecologici suggeriscono significativi costi sociali ed economici dalla seconda metà del XXI secolo in poi. I nostri risultati suggeriscono la possibilità che questi costi si verifichino molto prima».
Per Willcock «i risultati dello studio sono stati devastanti. Ma questo approccio – di analisi attraverso la dinamica dei sistemi – ha anche un potenziale positivo perché dimostra che piccoli cambiamenti in un sistema possono avere grandi impatti. Sebbene lo studio si sia concentrato sull’aspetto negativo delle pagliuzze che rompono la parte nascosta degli ecosistemi, potrebbe anche essere vero il contrario. Il lago Erhai, ad esempio, ha mostrato segni di ripresa. La stessa logica può funzionare al contrario. Potenzialmente, se si applica una pressione positiva, si può vedere un rapido recupero. Ma Il tempo sta scadendo più velocemente di quanto la maggior parte delle persone si rendesse conto finora.
A cura di GreenReport.it