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Ecco come verrà trattata l’acqua contaminata di Fukushima prima di esser riversata in mare

Il governo giapponese e la Tepco tentano di convincere il mondo spiegando come saranno rimossi gli elementi radioattivi e diluito il trizio

di Roberto Zonca   
Foto Ansa
Foto Ansa

Sono serviti 10 anni al governo giapponese per trovare una “non soluzione” al problema dell’acqua contaminata usata per raffreddare i reattori danneggiati della centrale nucleare Fukushima Daiichi. E dopo tutto questo tempo la soluzione annunciata è la peggiore che si potesse immaginare: riversare in mare 1,23 milioni di tonnellate di liquidi contaminati, ora stipati all’interno di 1000 serbatoi installati nelle vicinanze dell’impianto gestito dalla Tepco. Non si tratta della soluzione migliore, ma semplicemente della soluzione economicamente più vantaggiosa, che scarica non solo letteralmente il problema sulle spalle dell’intera umanità.

La Tokyo Electric Power Company, società che gestiva l’impianto prima del disastro, prevede di iniziare a breve le procedure per il rilascio delle acque contaminate da trizio ma, annuncia, quasi a voler tranquillizzare le tantissime persone ora angosciate, lo farà rispettando i protocolli più rigidi e le autorizzazioni delle autorità di regolamentazione, a partire dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), che a dirla tutta ha fatto ben poco. Per il direttore dell’agenzia, infatti, il rilascio dell'acqua nell'Oceano Pacifico sarebbe in linea con gli standard internazionali dell'industria nucleare.

E la Tepco tenta di convincere quanti nel mondo sono perplessi e preoccupati spiegando come avverrà il trattamento delle acque. Secondo lo schema messo a punto dalla Tokyo Electric Power Company l'acqua pompata per raffreddare il combustibile verrà “ripulita” usando un avanzato sistema di trattamento dei liquidi, noto come ALPS. Il processo, ci tengono a sottolineare gli esperti, è in grado di rimuovere “la maggior parte degli elementi radioattivi”, inclusi stronzio e cesio, ma lascia il trizio che è correlato all'idrogeno ed è di difficile separazione dall'acqua.

Ci sarà dunque da preoccuparsi? Il trizio è pericoloso per l’ambiente e dunque anche per la salute dell’uomo? “Assolutamente no”, ribadisce lo stesso premier giapponese, Yoshihide Suga, che chiarisce si tratta di un’acqua pulitissima: la si potrebbe persino bere e ci si potrebbe immergere in essa senza alcun rischio. Affermazioni per nulla convincenti, che cozzano con la decisione di liberarsi quanto prima di quella immensa quantità di “acqua minerale”…

Le operazioni di filtraggio, fanno sapere dalla Tepco, prevedono la rimozione dei radioisotopi e la contestuale diluizione dell'acqua, fino a raggiungere livelli di trizio sotto i limiti normativi, fino al pompaggio finale nell'oceano. Peccato che "la diluizione non cambierà il totale di radioattività dispersa" nell’ambiente. Chiariamo anche un altro aspetto, benché il trizio venga considera “poco nocivo”, cosa ben diversa dall’esser elemento innocuo, risulta dannoso se ingerito. Persino entrarne a contatto può causare gravi problemi di salute. Certo, gli esperti evidenziano che tali rischi sono concreti quando le quantità di trizio sono importanti e prolungate nel tempo. C’è da chiedersi quanto trizio si trova all’interno di 1.23 milioni di tonnellate d’acqua contaminata, e quanto tempo, questo elemento possa permanere nell’ambiente. Ebbene non sappiamo rispondere alla prima domanda, ma conosciamo con esattezza l’emivita di questo isotopo radioattivo: il tempo di dimezzamento è pari a 12 anni e 3 mesi.

E nel frattempo il trizio dove finirà? Indubbiamente verrà trasportato dalle correnti marine, finendo per contaminare gli stock ittici di molti paesi che si affacciano sull’Oceano Pacifico (ma non solo). E’ proprio per questo motivo per cui i pescatori giapponesi, la Corea del Sud e anche la Cina hanno protestato, minacciando persino di portare il caso al Tribunale internazionale del diritto del mare di Amburgo.

Anche l’Italia dovrebbe prendere delle contromisure, per tutelare i propri cittadini. Il nostro Paese, infatti, importa ogni anno oltre 40 mila tonnellate di pesce: 21mila tonnellate di pesci, crostacei e molluschi arrivano dal Giappone, altre 18mila dalla Cina e quasi 3500 tonnellate dalla Corea. Ai consumatori la Coldiretti consiglia di verificare – ora più che mai – la provenienza del pescato presente nelle pescherie. Sull’etichetta, obbligatoria, deve esser indicato per legge la zona di pesca. Se si vogliono evitare spiacevoli sorprese, a questo punto, è bene scegliere la "zona Fao 37", che indica i prodotti pescati nel Mediterraneo.

di Roberto Zonca   
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