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Addio alle barriere coralline, e con loro spariranno molti importanti ecosistemi

Acque più calde e acidificazione dei mari stravolgeranno il 50 per cento delle barriere coralline. Il cambiamento, radicale, avrà luogo entro il 2035

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Foto Ansa
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La metà delle barriere coralline attualmente esistenti potrebbe trovarsi in condizioni critiche già nel 2035 e scomparire quasi del tutto entro il 2055: un mix di elementi come il riscaldamento dei mari e l'acidificazione delle acque potrebbe avere effetti maggiori di quelli previsti finora. Lo indica lo studio pubblicato sulla rivista Plos Biology dall'Università delle Hawaii a Manoa. "Lo studio esamina i principali elementi di stress che agiscono sull'ambiente e ne analizza gli effetti congiunti che hanno sulle barriere coralline. Ne emerge un chiaro messaggio, catastrofico ma realistico: stiamo purtroppo andando incontro alla distruzione di questi importantissimi ecosistemi. E in tempi molto rapidi", ha commentato Marco Taviani, dell'Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ismar).

A spingere al collasso le barriere coralline non è solamente il cambiamento climatico, ma tanti fattori differenti e concatenati tra i quali i ricercatori americani ne hanno identificati cinque, tra cui la temperatura della superficie del mare, acidificazione degli oceani e l'uso del suolo per l'agricoltura. Presi singolarmente, ognuno di questi elementi avrà gravi impatti su almeno la metà delle barriere coralline già nei prossimi 30 anni; ma presi nel loro insieme ne emerge che il tempo a disposizione sarà molto meno del previsto, appena 13 anni. Tanto che entro il 2055 la quasi totalità delle barriere coralline (il 99%) si troverà ad affrontare condizioni praticamente 'impossibili' per la loro sopravvivenza.

"Ma le barriere sono ecosistemi cui partecipano moltissime specie differenti e tra queste ne esistono alcune con una capacità di resilienza maggiore di altre; è ipotizzabile quindi che alcune di queste specie riescano in qualche modo a sopravvivere", ha aggiunto Paolo Montagna, dell'Istituto di Scienze Polari del Cnr (Cnr-Isp). Una speranza che però non toglie, aggiungono i ricercatori, la gravità dei danni provocati a questi ecosistemi fondamentali per la biodiversità, per le risorse che offrono e per la protezione delle coste. E che una volta perduti non potranno mai tornare quelli di prima.

 

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