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Abbiamo trasformato i mari in discariche: ecco cosa è stato trovato nelle profondità oceaniche

Incalcolabile il numero degli strumenti da lavoro persi - o gettati via - ogni anno dai pescatori. E sono una grave minaccia per la sopravvivenza delle specie marine

Roberto Zoncadi Roberto Zonca   
Foto Shutterstock
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Gli attrezzi da pesca persi o semplicemente abbandonati in mare contribuiscono in modo determinante all'inquinamento degli oceani, con ampi impatti sociali, economici e - ovviamente - ambientali. Nonostante il tema sia di fondamentale importanza, le stime del fenomeno risultano datate e persino incomplete. Un team di scienziati del CSIRO (Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation), coordinato da Kelsey Richardson, dell’University of Tasmania (Australia), ha voluto vederci chiaro e per raccogliere informazioni più precise ha deciso di intervistare 451 pescatori commerciali attivi in sette Paesi del mondo, facendo fare direttamente a loro una stima – sicuramente in difetto - relativa alle attrezzature da pesca perse ogni anno.

I numeri del disastro ambientale

I dati raccolti hanno fatto fare un balzo a Richardson e colleghi. Si stima infatti che venga smarrito ogni anno il 2 per cento degli attrezzi da pesca, compresi 2.963 chilometri quadrati di reti da posta, 75mila chilometri quadrati di ciancioli, 218 chilometri di reti a strascico, circa 740mila chilometri di palangari e più di 25 milioni di nasse e trappole. Si può dire che nel mare ci sono dunque più rifiuti che pesci, e non si stanno neppure prendendo in considerazione altre tipologie di spazzatura, come i rifiuti plastici, i cotton fioc, le buste e i mozziconi di sigaretta. Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulle pagine della rivista Science, ha voluto fare una stima anche sul numero di ami finiti irrimediabilmente in mare: sono oltre 14 miliardi.

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I Paesi intervistati

I Paesi di provenienza degli intervistati sono stati scelti con attenzione, tra quelli in cui l’industria ittica risulta esser particolarmente florida (Belize, Indonesia, Islanda, Marocco, Nuova Zelanda, Perù e Stati Uniti). Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare non sono i pescherecci più grandi ad inquinare ma le imbarcazioni più piccole, spesso prive di sistemi di sicurezza e ancoraggio delle reti. I pescatori che lavorano con reti a strascico, inoltre, hanno confessato di aver spesso smarrito attrezzature da lavoro.

I pericoli per l'ambiente e per la salute umana

Tutti questi rifiuti rappresentano - è evidente - una minaccia per le specie marine e per interi ecosistemi. La plastica usata per la realizzazione delle reti, anche dopo decenni, è ancora in grado di intrappola tartarughe, delfini, squali, balene e pesci. Alcuni subiscono ferite, più o meno gravi, altri muoiono, dopo una lunga agonia. Inoltre le reti, dette anche “reti fantasma”, si degradano in maniera estremamente lenta, ma inesorabile, rilasciando in mare microplastiche che finiscono per essere ingerite dalla fauna ittica e dunque anche sulle nostre tavole.

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Roberto Zoncadi Roberto Zonca   
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