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Siccità: cosa dovremmo fare oggi per evitare grandi problemi fra 20 anni?

Tessa Gelisiodi Tessa Gelisio   
Siccità: cosa dovremmo fare oggi per evitare grandi problemi fra 20 anni?

La forte siccità che ha colpito l’Italia nel 2022 potrebbe essere soltanto un assaggio di quel che ci attende nei prossimi anni. Questo 2023 ne sembra già essere la dimostrazione: dopo un inverno poco piovoso, e un’inizio primavera con le temperature sopra la media, ci troviamo di nuovo ad affrontare un’emergenza idrica. E ci troviamo ancora largamente impreparati ad affrontarla, con misure dell’ultimo minuto per risparmiare acqua che, tuttavia, hanno un impatto limitato. Quali interventi di lungo periodo dovremmo invece imbastire già da oggi, per evitare grandi problemi tra 20 anni?Come ho già accennato, quello della siccità sarà probabilmente una questione che ci accompagnerà per lungo tempo. I cambiamenti climatici e l’innalzamento delle temperature stanno mettendo a dura prova le nostre risorse idriche, sia con una minore frequenza delle precipitazioni che con la perdita delle nostre “borracce naturali”, come ad esempio i ghiacciai. Eppure, rimanere immobili in attesa che il peggio accada non sembra la migliore delle strategie, occorre sin da subito lavorare sul fronte della mitigazione e sulle nostre capacità di adattamento. Per capirne di più, ho quindi deciso di chiedere un parere a Stefano Mariani, ricercatore ISPRA, con cui ho già avuto il piacere di conversare qualche mese fa in occasione di una diretta per Ecocentrica On Air.

Siccità: la questione centrale dei cambiamenti climatici

La siccità che abbiamo sperimentato la scorsa estate, e che già si ripresenta in questo inizio di primavera, evidenzia innanzitutto una questione: le nostre risposte al problema sono tardive e nella gran parte dei casi si tratta di misure-tampone di breve o medio periodo. A livello decisionale, poco viene fatto per affrontare la vera causa delle carenze idriche: i cambiamenti climatici già in atto.L’aumento delle temperature sta infatti alterando la capacità delle nostre risorse idriche di riformarsi di anno in anno. Basti solo pensare ai ghiacciai, le “borracce naturali” che alimentano gran parte dei corsi d’acqua in Italia, che rischiano di scomparire proprio perché la scarsità di precipitazioni – e la colonnina di mercurio sopra le medie – impediscono al ghiaccio di riformarsi. E considerando come, anche nella più rosea delle previsioni, le temperature nei prossimi decenni raggiungeranno almeno 1.5 gradi in più, appare evidente come non si possa risolvere il problema della siccità senza prima affrontare quello delle emissioni climalteranti.“Già adesso il quadro conoscitivo ci dice che, se andiamo a considerare la disponibilità medie di risorse idriche sul territorio nazionale nell’ultimo trentennio climatologico (1991-2020), e rapportiamo questa media annua con il dato storico di riferimento del trentennio dal 1921 al 1950, abbiamo una disponibilità ridotta del 20%” – spiega Mariani. “Questo significa che gli impatti dei cambiamenti climatici sono già presenti. Sulla base degli scenari di emissione dei gas a effetto serra, le proiezioni future sulla disponibilità di risorse idriche in Italia, ci dicono che, anche se andassimo ad attuare una politica forte di riduzione dei gas serra, avremmo comunque una riduzione della risorsa idrica nel breve periodo. Già solo ipotizzando di essere totalmente virtuosi. […] Considerando lo scenario in cui non si attuasse nessuna politica di riduzione dei gas serra, nel 2100 potremmo trovarci con una riduzione media annua del 40% delle risorse idriche sull’intero territorio nazionale”.

Non è quindi possibile pensare di risolvere – o meglio, di mitigare – il problema della siccità senza interventi efficaci e puntuali sulla contenzione delle emissioni climalteranti.“Bisogna agire dal punto di vista globale e a lungo termine – prosegue l’esperto dell’ISPRA – e dobbiamo anche pensare da un punto di vista di policy, quindi di politica, a una forte azione sulla riduzione dell’emissione di gas serra”.

Adattamento alla siccità: c’è sempre un trade-off

Se anche nella più rosea delle previsioni si registrerà comunque un aumento sensibile della temperatura, appare evidente come siano sempre più urgenti strategie di adattamento alla siccità. Ed è proprio per questa ragione che, con sempre maggiore frequenza, si parla di interventi strutturali per conservare quanta più acqua possibile. Dalla ristrutturazione della rete idrica italiana alla costruzione di nuovi invasi, passando per l’installazione di dissalatori, le strategie al vaglio sono le più disparate. Eppure, nessuna di queste soluzioni è priva di conseguenze negative: c’è sempre un trade-off e, senza un monitoraggio adeguato e una pianificazione minuziosa, si rischia che sia sempre l’ambiente a farne le spese.Innanzitutto, il rischio principale è quello di non avere una precisa visione futura, così come spiega Mariani: “Nel momento in cui si decide di fare un nuovo invaso, ad esempio, bisogna valutarne il suo impatto ambientale. Ipotizziamo di voler conservare più acqua, per averne a disposizione quando necessario. Ma se accade come l’anno scorso, quando si sono registrate temperature di 2 gradi superiori alle medie climatologiche, aumenta la quota di evaporazione dagli specchi d’acqua e di traspirazione dalla vegetazione. Come la immagazziniamo, quindi? Come facciamo a essere sicuri che, immagazzinandola oggi, da qui a due mesi – con le temperature che sono aumentate – non sarà nullo l’intervento fatto? Si rischia davvero di tamponare la situazione nel brevissimo tempo e di non avere, invece, una visione futura“.

Considerando come ogni intervento strutturale rischia di avere conseguenze ambientali e sugli ecosistemi, serve quindi una grande attenzione. “È sempre meglio partire prima con una pianificazione che permetta di capire cosa si ha attualmente a disposizione e dove si vuole intervenire, magari ammodernando o andare a recuperare alcune vecchie infrastrutture, piuttosto che partire da zero” – aggiunge Mariani. “Nel momento in cui si fanno nuove opere, si va comunque ad alterare quello che è il contesto ambientale: si rischia di deviare il corso di un fiume, di ridurre la capacità di infiltrazione delle acque – che, in assenza di una struttura, magari andrebbero a ricaricare degli acquiferi. […] Quando si va a implementare una misura si dovrebbe cercare di capire quanto quella misura sia sì efficace nel risolvere il problema delle risorse idriche, ma anche verificare che non ne crei altri su altri fronti ambientali”.

L’orizzonte a 20 anni: cosa si può fare oggi per limitare il problema

Proprio tenendo in considerazione le conseguenze ambientali di ogni strategia strutturale che verrà intrapresa, cosa si dovrebbe fare oggi per evitare gravi problemi fra 20 anni?

Il monitoraggio idrico

Il primo e fondamentale passo per ottimizzare al meglio i consumi idrici è monitorarne in modo costante l’andamento.“La conoscenza di quanta acqua è disponibile, di quanta acqua è prelevata e di quanta è restituita ai corpi idrici, è quello che ti aiuta in prima battuta quanto ti trovi di fronte a una carenza di risorsa idrica” – commenta Mariani. “Se hai poca acqua da gestire, devi sapere esattamente quanta ne hai e quanta ne prendi, per rispondere ai diversi fabbisogni, per poi effettivamente attuare una gestione. Questo è l’elemento fondamentale: prima di fare opere, prima di agire su misure strutturali, devi avere sempre un quadro conoscitivo di dettaglio. […] Quando ci troviamo in una situazione di scarsità idrica, i primi due elementi da salvaguardare sono l’ambiente e la richiesta d’acqua per uso civile. Dopo, l’agricoltura e gli altri usi”.

Rinnovare la rete idrica

Quando ci si trova ad affrontare periodi più o meno lunghi di siccità, torna alla ribalta il tema del rinnovamento della rete idrica italiana. Oggi le perdite sono ancora decisamente consistenti – attorno al 40/42% a livello nazionale, spiega l’Istat – e molto può essere fatto su questo fronte.

“Quello delle perdite è un problema da affrontare” – spiega il ricercatore Ispra. “Quando si parla di rete idrica, si parla della rete che copre gli usi civili, che rappresentano circa il 20% di prelievi di risorsa idrica. Non è quindi il maggior prelievo di risorsa, il 50% avviene in agricoltura. […] Nel 2017 ci siamo trovati ad affrontare una situazione di siccità che ha riguardato quasi tutto il territorio nazionale. A seguito di quella situazione, l’Acea – il gruppo che si occupa dell’acqua per uso civile per la Capitale – si è resa conto che, oltre alla situazione dovuta a un deficit di precipitazioni, c’erano anche problemi sulla rete di distribuzione e ha avviato una serie di attività per intervenire su quel problema. Così facendo, nel periodo di siccità occorso nel 2022 i problemi di soddisfacimento dei bisogni idrici di Roma Capitale sono stati notevolmente ridotti”.

Invasi e bacini

Altrettanto di frequente, si parla della creazione di nuovi invasi e bacini di raccolta, per immagazzinare quanta più acqua possibile nei periodi ricchi di precipitazioni, da impiegare poi in quelli di maggiore siccità. Come già accennato, è sempre indicato ammodernare gli impianti già esistenti o recuperare quelli in disuso, perché le nuove opere potrebbero avere un impatto importante sull’ambiente. Ancora, bisogna anche valutare la questione dell’evapotraspirazione – “Fatta 100 la precipitazione che cade annualmente sul territorio italiano, 50 evapotraspira”, evidenzia l’esperto.Tuttavia, abbinando agli interventi strutturali anche un monitoraggio costante, si possono ottenere buoni risultati. È quel che accade in Sardegna, ad esempio, che grazie a una rete di invasi ben strutturata e a un controllo costante dei prelievi idrici, ha gestito la siccità del 2022 in modo migliore rispetto ad altre zone dello Stivale.“La Sardegna – aggiunge Mariani – ha un sistema di invasi ben strutturato e monitorato. Si può quindi approfittare di una pianificazione ben chiara, di un aggiornamento mensile di quella che è la situazione in corso. Questa conoscenza quasi totale di quanta acqua è a disposizione ha permesso alla Regione di non trovarsi in una situazione di severità idrica medio-alta”.

Dissalatori

Si discute altrettanto frequentemente dei dissalatori come strumento per combattere la siccità di lungo periodo, ovvero di impianti capaci di rendere potabile l’acqua marina e quindi adatta agli usi civili. Sulla stampa, ad esempio, di recente si è molto parlato degli impianti installati in California a questo scopo, con toni anche entusiastici.Di certo i dissalatori possono aiutare ad attutire il fenomeno della carenza idrica ma, anche in questo caso, ne vanno valutare le conseguenze ambientali:“È una delle tante soluzioni – commenta il ricercatore Ispra – ma non è l’unica che può andare bene per tutti i territori nazionali, poiché ovviamente alcuni di questi non hanno accesso al mare. Ma si crea un nuovo problema: dalla dissalazione rimane una salamoia, cioè la parte che viene tolta dall’acqua per renderla utilizzabile. Come la si smaltisce? Non può essere rigettata a mare, perché aumenterei la concentrazione di sali con un impatto sugli ecosistemi. Di conseguenza, anche una soluzione di cui si parla spesso ha risvolti che devono essere presi in considerazione ed è il motivo perché non può essere applicabile al 100%”.

Agricoltura e resilienza

Considerando come l’agricoltura richieda circa il 50% di tutte le risorse idriche nazionali, è evidente che serva un cambio di paradigma sulle coltivazioni. Innanzitutto, valutando le specie di vegetali coltivati, ma anche ottimizzando le stesse tecniche di coltivazione.

“Bisognerebbe iniziare a pensare a quelle che sono le colture idroesigenti e fare agricoltura di precisione” – spiega Mariani. “Il quadro conoscitivo sulle risorse idriche è anche quello più utile a livello locali agli agricoltori: sicuramente le nuove tecnologie stanno già permettendo ora di variare le modalità adottate in agricoltura, ma il quadro conoscitivo mi permette, nel momento in cui ho poca acqua, di poterla utilizzare meglio”.

Serve poi esperienza e resilienza, così come hanno dimostrato le regioni del Sud Italia proprio nell’estate del 2022. Mentre il Nord è stato preso abbastanza alla sprovvista dalla carenza idrica – sia per via delle scarse precipitazioni che per la convinzione diffusa che questi territori non sarebbero mai stati coinvolti dalla siccità – il Sud ha saputo adattarsi meglio, grazie a una tradizione più lunga e una capacità d’adattamento migliore proprio alle scarse risorse d’acqua. Capacità di adattamento che avviene sia a livello di strutture ma anche di singoli comportamenti, come ad esempio la riduzione di ogni spreco anche solo a livello domestico.In definitiva, quello della siccità è un problema difficile da affrontare e, per via dei cambiamenti climatici già in corso, forse non lo si potrà risolvere completamente. Sarà quindi fondamentale investire dove serve, ma anche e soprattutto adattarsi anche con stili di vita maggiormente sostenibili. “Stiamo già vivendo l’impatto dei cambiamenti climatici, prima agiamo meglio è”.

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