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Salumi da produzione intensiva: cosa contengono?

Tessa Gelisiodi Tessa Gelisio   
Salumi da produzione intensiva: cosa contengono?

A chi non è mai capitato, dopo aver acquistato dei salumi da produzione intensiva, di rimanere decisamente sorpresi nel leggere la lista degli ingredienti riportati in etichetta? Non è di certo un segreto: le fette di salame di produzione industriale, o la mortadella nella terribile vaschetta di plastica che ci propone il supermercato, non sono propriamente equivalenti del salume di nicchia di qualità. Ma cosa contengono?Come facile intuire, i salumi distribuiti sulla grande distribuzione devono contenere alcuni ingredienti non normalmente usati nella filiera tradizionale, perché è necessario garantire la loro lunga durata e il massimo della sicurezza. Cerchiamo di capirne di più.

L’origine della carne dei salumi industriali

Prima ancora di concentrarsi su additivi ed eventuali sostanze chimiche aggiunte nei salumi di produzione industriale, il primo passo è chiedersi quale sia l’origine delle carni utilizzate per la loro lavorazione.

Pressoché la totalità dei salumi industriali si avvale di carne proveniente da allevamenti intensivi. In particolare, quella di suino che, come riferisce CIWF, proviene da allevamenti dove gli esemplari vivono letteralmente ammassati, spesso senza la possibilità di muoversi. Oltre alle questioni di tipo etico derivanti da queste modalità di allevamento, vi sono dei problemi in termini qualitativi delle carni usate per i salumi:

  • è presente una porzione grassa maggiore, poiché gli animali non solo non hanno la possibilità di sviluppare porzioni sufficienti di muscolo data la loro immobilità, ma vengono anche nutriti all’ingrasso, affinché possano raggiungere il peso ideale alla macellazione nel minor tempo possibile;
  • possono essere presenti residui di farmaci poiché, proprio per questa tipologia di vita a strettissimo contatto, gli esemplari sono spesso sottoposti a trattamenti farmacologici preventivi per evitare la rapida diffusione di patologie. 

Spesso i consumatori si preoccupano anche del rischio della contaminazione da ormoni, per via di alcuni casi finiti, ormai diversi decenni fa, sulla cronaca nazionale e internazionale. Fortunatamente, all’interno dell’Unione Europea ormai da tempo è vietato somministrare anabolizzanti, interferenti endocrini e farmaci ormonali agli animali da allevamento destinati al consumo alimentare.

Additivi e altre sostanze nei salumi industriali

Oltre alla qualità delle carni, quando si acquista un salume di produzione industriale bisognerebbe prestare attenzione anche alla presenza di additivi e altre sostanze, che possono essere aggiunti per garantirne una maggiore conservazione ai salumi o, semplicemente, per preservarne un colore brillante.

Nitriti e nitrati nei salumi da produzione intensiva

Tra gli additivi certamente più utilizzati vi sono i nitrati, identificati dalle sigle E251 ed E252, e i nitriti, segnalati come E249 ed E250. Queste sostanze, normalmente presenti in natura e derivate perlopiù di azoto e ossigeno, vengono aggiunte per:

  • aumentare il tempo di conservazione dei salumi;
  • evitare la germinazione delle spore del botulino, ovvero il Clostridium botulinum;
  • mantenere il tipico colore rosso o rosato di alcuni salumi anche dopo il taglio, evitandone l’ossidazione e, quindi, lo scurimento.

È però necessario sottolineare che questi addittivi sono obbligatori per alcune categorie di salumi. Ad esempio, la normativa italiana prevede che i nitriti siano presenti nei prodotti denominati “prosciutto cotto”, “prosciutto cotto di alta qualità” o “prosciutto cotto scelto”. In altre tipologie, come ad esempio il prosciutto crudo DOP, non sono invece essenziali. Lo conferma Roberto Plinton, segretario di Assobio, dalle pagine de Il Salvagente: “nella maggior parte dei salumi i nitriti e nitrati hanno un effetto solamente estetico, servono a mantenere il colore rosso vivo, ma non hanno nessun effetto tecnologico utile perché il botulino non si sviluppa nei prodotti che hanno un pH inferiore a 4,6, i salami che sono fermentati non possono avere sviluppo di botulino”.

In ogni caso, così come riferisce l’AIRC, nitriti e nitrati sono da tempo degli osservati speciali in campo alimentare, per i rischi alla salute che possono comportare. Sebbene di per sé non siano sostanze cancerogene, per effetto delle attività metaboliche dell’organismo – e, in alcuni casi, anche della cottura – queste sostanze possono trasformarsi in N-nitrosammine, quest’ultime invece riconosciute come effettivamente cancerogene. Ed è forse anche per questo che l’Unione Europea, nel 2023, ha deciso di rivedere sensibilmente al ribasso le soglie ammesse in carni, salumi e prodotti caseari.Ancora, bisogna però prestare attenzione a quei prodotti che riportano la dicitura “senza nitrati” perché, sempre come riferisce Il Salvagente, spesso si tratta di mere operazioni di marketing. Questi prodotti sono infatti spesso arricchiti con erbe e spezie che, data l’elevata presenza di azoto dovuta alla coltivazione, sviluppano naturalmente proprio nitriti e nitrati.

Antiossidanti, zuccheri e caseinati nei salumi commerciali

Oltre a nitriti e nitrati, i salumi di produzione industriale possono contenere anche altre sostanze, come ad esempio:

  • antiossidanti, pensati per garantire a lungo la freschezza del prodotto e bloccare l’ossidazione dopo il taglio che, come già visto, può portare a un colore più scuro del salume, meno gradevole alla vista. Il più utilizzato è certamente l’acido ascorbico – la comune vitamina C – indicato in etichetta come E300;
  • zuccheri, tracce di latte in polvere e altri derivati della caseina, utilizzati per migliorare la consistenza del salume, renderne più brillante il colore, favorire eventuali processi di fermentazione e offrire un gusto più intenso. 

Sebbene questa tipologia di sostanze non abbia effetti riconosciuti sulla salute, bisogna considerare che:

  • potrebbero modificarne il profilo nutrizionale, ad esempio con un aumento sensibile dei livelli di carboidrati, così come un apporto calorico maggiore;
  • devono essere presi in debita considerazione da chi soffre di specifiche intolleranze alimentari, come ad esempio quella al lattosio.

In definitiva, se si pensa che il salume preconfezionato comprato al supermercato sia equivalente a quello prodotto dal piccolo allevatore tradizionale, ci si sbaglia di grosso. Quest’ultimo vede l’aggiunta solo di sali e spezie aromatiche – a meno che, come visto, non rientri nella lista dei salumi, come il prosciutto cotto, dove almeno i nitriti sono obbligatori – sia per migliorarne il sapore che per evitare la proliferazione di agenti rischiosi per la salute. E poco importa se quel salame comprato dal contadino diventa più scuro dopo il primo taglio: è la prova tangibile dell’assenza di additivi di origine industriale.

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Tessa Gelisiodi Tessa Gelisio   
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