Quali cibi inquinano di più? La terribile dozzina: la classifica che non ti aspetti con cioccolato, uova e latte
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Vi siete mai chiesti quali siano i cibi che inquinano di più con la loro produzione? Da sempre adotto uno stile ecocentrico anche in cucina, prestando attenzione alla provenienza dei prodotti – il più possibile a chilometro zero, da agricoltura biologica e stagionali. Eppure, non è sempre facile comprendere l’impatto ambientale delle prelibatezze che portiamo in tavola.
Per aiutarci a capire quanto inquinino i cibi che quotidianamente prepariamo, la scienza a giungerci in soccorso. Di recente, ad esempio, molti dati utili sono emersi dalle indagini condotte dalla Società Italiana di Medicina Ambientale, dall’Università di Oxford e da OBC Transeuropa. Delle valutazioni preziose che ci permettono di ridurre il nostro impatto ambientale ogni volta che facciamo la spesa.
Il quadro generale dell’inquinamento legato al cibo
È un elemento su cui spesso non ci si concentra, eppure la produzione di cibo rappresenta una delle cause maggiori di inquinamento atmosferico e ambientale a livello mondiale. Dominata dalla grande distribuzione, la gran parte della filiera alimentare globale non è infatti sostenibile, sia perché si cerca di produrre sempre di più al più basso costo possibile, sia perché vi sono enormi sprechi di risorse naturali.Oltre alle sempre maggiori emissioni di gas climalteranti, come ad esempio l’anidride carbonica, l’universo alimentare è anche responsabile di danni ambientali inestimabili:
- massiccia deforestazione, poiché la distruzione delle foreste è spesso funzionale alla creazione di enormi campi coltivati o allevamenti;
- diffusione di contaminanti nel suolo e nell’acqua, dato il grande ricorso a isetticidi, funghicidi ed erbicidi di origine chimica;
- emissioni per il trasporto degli alimenti, spesso da una parte all’altra del globo per soddisfare le richieste fuori stagione dei consumatori;
- aumento dell’inquinamento da plastica, per via del packaging.
- emissioni per il trasporto degli alimenti, spesso da una parte all’altra del globo per soddisfare le richieste fuori stagione dei consumatori;
- aumento dell’inquinamento da plastica, per via del packaging.
Purtroppo, non è sempre semplice valutare l’impatto di questi fattori singolarmente, sia per difficoltà di stima che per l’impossibilità di accedere a dati certi in molti Paesi dove la produzione è sempre più deregolamentata. Per questa ragione, la maggior parte degli studi si concentra unicamente sulle emissioni di CO2 dovute all’industria alimentare, senza poter entrare troppo nel dettaglio di altre forme di inquinamento e impatto.
I cibi dalla produzione più inquinante
Come ho accennato in apertura, negli ultimi anni diverse analisi hanno evidenziato l’impatto dell’alimentazione in termini di inquinamento ambientale e atmosferico, concentrandosi principalmente sulle emissioni di gas climalteranti quali la CO2. Grazie a queste ricerche, è stato possibile stilare una classifica degli alimenti dal maggiore impatto alimentare in produzione.
Come sono stati valutati gli alimenti
Innanzitutto, come sono stati valutati gli alimenti in termini di emissioni di CO2? In linea generale, gli esperti hanno calcolato l’anidride carbonica emessa su tutto il ciclo di produzione del cibo, includendo:
- le emissioni dovute alla modifica del suolo, ad esempio per adattarlo alla coltivazione e all’allevamento;
- le emissioni dovute alla produzione di mangimi e foraggio per gli animali d’allevamento;
- le emissioni dovute alla lavorazione delle materie prime;
- le emissioni dovute al trasporto degli alimenti, dagli impianti produttivi alla catena di distribuzione;
- le emissioni legate al packaging dei cibi e alle attività di vendita al dettaglio, verso quindi i consumatori finali.
La classifica dei cibi più inquinanti
Dati i fattori elencati nel precedente paragrafo, i ricercatori hanno calcolato la quantità di anidride carbonica emessa per ogni chilogrammo di alimento prodotto. Ne emerge una fotografia a dir poco preoccupante:
- Manzo: 60 kg di CO2;
- Agnello: 25 kg di CO2;
- Formaggi e latticini: 21 kg di CO2;
- Cioccolato: 19 kg di CO2;
- Caffè: 16 kg di CO2;
- Maiale: 7 kg di CO2;
- Pollo: 6 kg di CO2;
- Pesce d’allevamento: 5 kg di CO2;
- Uova: 5 kg di CO2;
- Riso: 4 kg di CO2;
- Latte: 1 kg di CO2;
- Pomodori, mais, piselli, banane: 1 kg di CO2.
Per quanto riguarda le carni, il maggior impatto è dovuto alle modifiche necessarie al suolo sia per la produzione di mangimi e foraggi, che per allevare gli animali. I grandi allevamenti intensivi di manzo, in particolare in Sudamerica, vengono infatti realizzati a discapito delle foreste, spesso rase al suolo per far spazio a campi coltivati. Una situazione simile a quella che si verifica nel Sudest Asiatico, in particolare in Indonesia, dove le foreste tropicali stanno sempre più scomparendo per far spazio a monocolture. E proprio poiché la vegetazione scompare, o viene sostituita da colture alimentari, non vi è più il principale scudo all’aumento delle concentrazioni di CO2 in atmosfera, con effetti che già oggi vediamo sia a livello globale che locale. Oltre ad emettere CO2 durante la deforestazione stessa.
L’impatto della produzione di latticini segue perlopiù lo stesso andamento, sempre con danni da deforestazione in particolare in Sudamerica, mentre per cioccolato e caffè le maggiori emissioni non derivano tanto dalle coltivazioni, quanto dai costi di trasporto. Le materie prime – come il cacao e i chicchi di caffè – vengono perlopiù prodotte in Africa e in America del Sud, per poi essere trasportate in tutto il mondo.
L’inquinamento da cottura
Vi è però un altro elemento da prendere in considerazione, spesso completamente dimenticato in queste tipologie di analisi. Oltre alla produzione e alla distribuzione, il cibo inquina anche con la cottura, rilasciando quantità elevate di gas climalteranti.È quanto spiega il presidente Sima Alessandro Miani, qualche tempo fa ospite anche di Ecocentrica On Air, in una recente intervista per Il Sole 24 Ore: “Ancora oggi circa 2.5 miliardi di persone in tutto il mondo utilizza legna da ardere, residui colturali, carbone o sterco essiccato per cucinare, mentre il resto della popolazione mondiale fa uso di gas naturale, kerosene, gpl ed elettricità” – commenta l’esperto. E non solo la maggior parte di questi metodi di cottura rilascia gas climalteranti, ma è anche fra le prime cause di inquinamento indoor: “La combustione generata dalla cottura dei cibi – continua Miani – dà origine negli ambienti domestici a fumi con livelli di contaminanti nettamente superiori a quanto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Una forma di inquinamento indoor che causa non solo malattie respiratorie, cancro ai polmoni, broncopneumopatia cronica ostruttiva, polmonite, problemi cardiovascolari e cataratta, ma anche 4 milioni di morti premature all’anno su scala globale”.
Ma come fare per ridurre il nostro impatto ambientale? Innanzitutto, prediligere il consumo di alimenti a chilometro zero, per limitare le emissioni dovute ai trasporti. Dopodiché, limitare la carne nella dieta e solo da pascoli o bio (che non usano ogm, principale causa deforestazione amazzonia e in cui maggior benessere animale), e favorire un’alimentazione maggiormente vegetale, soprattutto se da coltivazione biologica e nel rispetto della stagionalità, che ha minor impatto. Ancora, quando ci si reca a fare la spesa, è sempre utile preferire prodotti sfusi, così da limitare l’impatto ambientale del packaging. Tutte piccole abitudini che, per quanto semplici, possono davvero ridurre il peso delle nostre tavole in termini di emissioni climalteranti!
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