L’esposizione all’inquinamento atmosferico danneggia il normale sviluppo riproduttivo del feto, causando problemi di fertilità nella vita adulta. È questo il preoccupante risultato emerso da una recente ricerca condotta dalla Rutgers University, relativo all’esposizione in grembo a inquinanti quali i PM 2.5 e al biossido di azoto. Un altro attacco alla fertilità umana, che si aggiunge ai rischi dei contaminanti a cui ci esponiamo tutti i giorni, come ftalati e BPA, di cui vi ho già parlato qui su Ecocentrica.Ma che fare? Con una fertilità che è calata di un punto percentuale dagli anni ‘70 a oggi, le capacità riproduttive degli umani si riducono a dismisura. E l’unico modo per preservarle, è intervenire con azioni di contrasto all’inquinamento ambientale e alla produzione di emissioni nocive.
Come l’inquinamento danneggia il feto

Oggi le donne in gravidanza sono non solo esposte a numerosi contaminanti domestici, come i già citati ftalati e BPA, ma anche all’inquinamento ambientale. Sostanze come il particolato ultrasottile – i PM 2.5, quelli che superano la barriera dei bronchi – e il biossido d’azoto vengono respirati continuamente e, attraverso i polmoni, superano non solo la barriera ematica, ma anche quella della placenta.Per questa ragione, i ricercatori della Rutgers University hanno voluto condurre alcune analisi sulla salute dei feti esposti a queste sostanze, raccogliendo i loro risultati in uno studio in peer review.Per farlo, gli esperti hanno analizzato non solo lo sviluppo dei caratteri sessuali genere-specifici dei feti, ma anche un importante marker: quello della distanza ano-genitale. Questa distanza è infatti predittiva di disturbi alla riproduzione, sia negli animali che nell’uomo, poiché indice di un non corretto sviluppo proprio dell’apparato riproduttivo. Ma cosa è emerso dallo studio?
Inquinanti ambientali e ormoni
La base dello studio nasce da un’evidenza empirica: negli ultimi decenni, la distanza ano-genitale si è ridotta in gran parte dei nuovi nati, così come dimostrano i dati di uno studio tutt’oggi in corso, il TIDES: The Infant Development and Environment Study. Monitorando le gravidanze di più di 700 donne statunitensi dal 2010 a oggi, gli esperti hanno misurato la distanza ano-genitale dei neonati maschi sia al momento della nascita che a un anno di età, rilevando misure minori rispetto alle precedenti generazioni.Questa anomalia si ritiene sia dovuta a un’alterazione nella produzione di testosterone durante quella fase del feto che gli esperti chiamano “mini-pubertà”: un periodo di grande rilascio di ormoni, dove il feto si differenzia tra maschio e femmina sviluppando i relativi genitali. Negli ultimi anni, si registra una più ridotta produzione di testosterone – e anche di estrogeni, per il genere femminile – proprio in queste settimane, determinando alterazioni della distanza ano-genitale. Ma quale è la causa?Gli scienziati hanno notato che i feti – e, conseguentemente, i futuri nascituri – maggiormente colpiti da questa alterazione sembrano essere quelli più esposti al particolato ultrasottile, ovvero i PM 2.5, e al biossido di azoto. In particolare:
- l’esposizione diminuisce i livelli di testosterone e androgeni;
- i PM 2.5 espongono il feto ad altre tossine, come il cadmio e il piombo;
- il biossido di azoto agisce in modo simile ai più noti interferenti endocrini.
Problemi di fertilità in età adulta

Gli effetti dell’alterazione della produzione di ormoni e della distanza ano-genitale si rilevano soprattutto in età adulta, nella maggior parte dei casi quando le coppie scoprono di essere infertili, dopo svariati tentativi di concepire un bambino. In particolare, si è notato che:
- negli uomini, l’esposizione agli inquinanti già nel grembo materno determina una produzione minore di testosterone, uno sviluppo minore dei testicoli e concentrazioni di spermatozoi più basse nel normale, di ben il 51% inferiori rispetto a 40 anni fa;
nelle donne, l’esposizione agli inquinanti aumentano il rischio di sviluppare la sindrome dell’ovaio policistico, l’endometriosi e la probabilità di imbattersi in aborti. Ancora, gli stessi inquinanti sono fra le principali cause della pubertà anticipata nelle bambine.
Cosa fare per ripristinare la fertilità
“Questo è un problema di salute pubblica che colpisce tutti noi, pertanto è auspicabile uno sforzo mondiale per ridurre il più possibile l’inquinamento atmosferico”. È con queste parole che Emily Barret, uno dei principali autori dello studio, ha commentato le evidenze emerse dalla ricerca.
Ridurre l’inquinamento atmosferico, agendo sulle fonti di emissioni di gas climalteranti e particolato, è fondamentale per garantire sia la salute delle donne in gravidanza che dei loro bambini. In particolare, bisogna agire sulla produzione urbana di questi inquinanti, rilasciati largamente dai sistemi di riscaldamento e dal traffico stradale.Purtroppo, spesso i buoni propositi si scontrano però con la politica e la burocrazia e, nonostante i passi avanti fatti sul riscaldamento verde e sulla mobilità più sostenibile, il problema dei PM 2.5 e del biossido d’azoto ci accompagnerà ancora a lungo. Per questa ragione, gli stessi ricercatori stanno pensando di stilare un protocollo che possa aiutare le future madri a ridurre l’esposizione a inquinanti:
- installare sistemi di filtraggio e depurazione dell’aria a livello domestico;
- predisporre in casa aree verdi, coltivando piante dalle note capacità depurative e di assorbimento degli inquinanti domestici;
- seguire una dieta sana ed equilibrata, possibilmente biologica, affinché si consumino frutta e verdura meno contaminate;
- indossare mascherine N95 – ovvero le ormai comuni FFP2 – quando ci si deve recare in luoghi particolarmente trafficati;
- ridurre l’esposizione ad altri interferenti endocrini, come BPA e ftalati, per evitare il rischio della sovraesposizione.
Gli esperti hanno però sottolineato che i genitori non possono essere lasciati da soli nella lotta contro gli inquinanti, poiché il problema a monte: servono normative decisamente più ferree in materia di emissioni.
In definitiva, a rischio vi è la continuità della specie umana: vale davvero la pena giocare d’azzardo con la nostra fertilità, pur di non affrontare la questione ambientale?
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