Le compagnie petrolifere potrebbero aver avviato una campagna di disinformazione e fake news sui cambiamenti climatici, allo scopo di rallentare la dismissione dei combustibili fossili. È la pesante accusa che arriva addirittura dall’ONU, per voce dell’assistente segretario generale Selwin Hart.Stando a quanto affermato, diverse compagnie avrebbero cercato di convincere i leader mondiali a posticipare politiche per l’eliminazione delle fonti fossili e, anche approfittando di canali di disinformazione, sul pubblico generale. E per quanto l’accusa sia giunta lo scorso agosto dalle pagine del Guardian, a oltre due mesi di distanza non sono giunte smentite dai soggetti interessati.
La narrativa sulla transizione verde “difficile”
Il dubbio del rappresentante delle Nazioni Unite è sorto nel notare una forte discrepanza tra l’orientamento dei cittadini – largamente a favore di politiche basate su fonti rinnovabili, in particolare sul fronte energetico – rispetto ai tentennamenti della politica. Nel dettaglio, a livello mondiale si sarebbero adottate delle timeline troppo timide per la messa al bando dei combustibili fossili e, nonostante il primo traguardo fissato da diverse nazioni e in Europa per il 2035, molti politici sarebbero pronti a tornare sui loro passi.
Una survey condotta dall’UNDP ha dimostrato che oltre il 72% dei cittadini, all’interno dei Paesi ONU, è a favore della più rapida transizione possibile verso le energie verdi, con una messa al bando dei principali combustibili fossili – soprattutto carbone, petrolio e gas – repentina. Questo trend si registra anche fra le Nazioni più impegnate nell’estrazione e nella raffinazione del petrolio: nonostante l’indotto e il benessere economico che ne è derivato, le persone comuni guardano al futuro. Eppure, nella scelta di misure di dismissione, i governi mondiali non sembrano aver assecondato questo desiderio di un rapido cambiamento.“C’è una narrativa prevalente, soprattutto spiunta dall’industria dei combustibili fossili, in merito a un’azione climatica troppo difficile e troppo costosa” – spiega Hart. “È quindi assolutamente fondamentale che i leader mondiali rifiutino questa narrativa, spiegando il valore delle azioni climatiche e, soprattutto, le conseguenze di un mancato intervento. Invece, sembra che il clima stia cadendo a picco nella lista delle priorità dei leader mondiali. Ci serve il massimo dell’ambizione e della cooperazione ma, sfortunatamente, non stiamo vedendo passi in questa direzione”.
Le fake news climatiche corrono veloci
Nell’accusare le compagnie petrolifere, che “continuano a raggiungere profitti record e ricevere enormi agevolazioni dai governi, mentre alle persone comuni spetta pagare il prezzo della crisi climatica”, il rappresentante ONU non entra nel dettaglio delle modalità di disinformazione più diffuse. Tuttavia, altre ricerche hanno confermato la tendenza globale alle fake news climatiche.
Fake news sponsorizzate sui social network
La prima e più allarmante tendenza arriva dai social network, dove le fake news sui cambiamenti climatici – e, in particolare, sulla loro supposta inesistenza – si moltiplicano senza sosta. Un’analisi condotta nel 2021, in concomitanza con la COP26, ha evidenziato che i 16 principali gruppi inquinanti mondiali siano stati responsabili:
- della pubblicazione di oltre 1.700 annunci a pagamento sui social media;
- di un investimento 5 milioni di dollari sulle principali piattaforme.
Con fondi così elevati per spingere contenuti contrari al cambiamento climatico, oppure dedicati al greenwashing delle fonti fossili, è molto semplice influenzare sia il pubblico che la politica con la disinformazione. Basti pensare che queste campagne hanno ottenuto più di 150 miliardi di impression, cifra altrimenti non raggiungibile senza sponsorizzazioni.
Non è però tutto, poiché secondo NPR alcune compagnie petrolifere statunitensi non solo avrebbero pubblicato numerosi video su YouTube per minimizzare le legittime preoccupazioni sulle conseguenze dei combustibili fossili – spesso approfittando di toni patriottici o, peggio, puntando sulla paura del diverso o il timore della disoccupazione – ma avrebbero addirittura pagato influencer per decantare i benefici delle fonti fossili rispetto alle rinnovabili.
Fake news che si propagano da account sospetti
Eppure, non sono solo i contenuti a pagamento a far gioco a varie compagnie petrolifere. Grazie a strategie mirate di comunicazione, alcuni gruppi si sarebbero riusciti a infilare nelle normali conversazioni degli utenti online, pressoché a costo zero. È quanto ha evidenziato l’Università di Boston con la ricerca “Dati e disinformazione nell’era della sostenibilità e della crisi del cambiamento climatico”.
Nel corso del 2023, i ricercatori hanno analizzato oltre 22.000 interventi di disinformazione sui cambiamenti climatici apparsi su X – la piattaforma chiamata, ai tempi, Twitter – scovando almeno 60 account che potrebbero essere direttamente collegati a grandi compagnie petrolifere. La stessa tendenza, sempre a detta dei ricercatori, è stata identificata anche su Reddit, all’interno delle discussioni degli scettici sui cambiamenti climatici.Con messaggi quali “il cambiamento climatico non è una minaccia” o “le politiche verdi distruggeranno la nostra crescita economica”, gli account sospetti avrebbero spinto moltissimi utenti a non credere ai danni causati dai combustibili fossili. Gli stessi utenti che, rassicurati sulla supposta inesistenza della crisi climatica, avrebbero fatto poi da eco, moltiplicando all’infinito queste teorie. In molti casi, spiega l’Università di Boston, questi interventi di disinformazione si sarebbero fatti più insistenti in prossimità di elezioni e altri eventi politici cruciali – in particolare, negli Stati Uniti – allo scopo di spingere il voto verso partiti più favorevoli verso i combustibili fossili o, ancora, far pressione sui politici già eletti per non approvare leggi troppo restrittive proprio sulle fonti fossili.
Auto elettriche? Il peso dei media tradizionali
Da un altro approfondimento, invece, emerge che uno dei fattori che avrebbe portato al rallentamento nella vendita di auto elettriche – oltre a costi ancora abbastanza proibitivi – potrebbe essere proprio la disinformazione, in particolare sul rischio incendio.A essere maggiormente colpiti, oltre ai social network, sarebbero però i media tradizionali, forse per andare a intercettare la popolazione meno giovane, ma più alto-spendente, e quindi più incline all’acquisto di nuove auto. Ad esempio, sono stati evidenziati più di 160 articoli contro le auto elettriche, pubblicati in sequenza e con tempistiche a dir poco opinabili su alcuni tabloid inglesi.
In definitiva, la disinformazione sui cambiamenti climatici è realtà e spesso vi sono enormi interessi economici alla base della circolazione di fake news. A noi spetta il compito di leggere ogni informazione con spirito critico, perché ne va del nostro futuro.
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