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Dai costumi da bagno alle creme solari: come inquiniamo il mare inconsapevolmente

Tessa Gelisiodi Tessa Gelisio   
Dai costumi da bagno alle creme solari: come inquiniamo il mare inconsapevolmente

Avreste mai detto che basta un costume da bagno, oppure la classica crema solare, per inquinare il mare? Ebbene sì: tante nostre piccole – e apparentemente innocue – abitudini, si rilevano una fonte dannosa per gli ambienti marini. E questo soprattutto perché, per quanto possano essere di poco conto sul singolo, si moltiplicano per miliardi di persone ogni giorno nel mondo. Ma quali sono gli effetti di questo inquinamento inconsapevole e, soprattutto, come prevenirlo?

Ho quindi deciso di raccogliere per voi le fonti d’inquinamento più diffuse, e meno riconoscibili, dovute ai nostri comportamenti al mare. Per imparare sin da subito come evitarle e vivere un’estate maggiormente sostenibile!

Costumi da bagno: attenzione alle microplastiche

I tessuti sintetici – come il poliestere, la lycra e molti altri ancora – sono ormai diventati la scelta principale per la gran parte dei produttori di costumi da bagno. E le ragioni sono facili da comprendere: sono relativamente economici da produrre, assicurano una buona impermeabilità e si asciugano velocemente.

Eppure, indossandoli, non facciamo di certo un favore all’ambiente. Le fibre sintetiche rilasciano infatti di continuo microplastiche, dei piccoli frammenti di questo materiale, ormai ubiquitari su tutto il Pianeta. Basta anche una semplice nuotata e, tra lo sfregamento sul corpo e l’attrito con l’acqua, centinaia di minuscole fibre si distaccano e finiscono sui fondali. Purtroppo, sono altamente inquinanti: impiegano secoli per scomparire, alterano la crescita dei vegetali sul fondo marino e vengono inghiottite da pesci e animali marini, che poi approdano sulle nostre tavole.Meglio allora scegliere sempre costumi in fibra naturale, come ad esempio il cotone biologico, dall’alta biodegradabilità.

Creme solari: addio barriere coralline

Avreste mai detto che le creme solari, la nostra arma per difenderci dai dannosi raggi UV, potessero essere una delle prime cause della distruzione delle barriere coralline? Purtroppo è così: alcuni elementi chimici contenuti nelle creme più commerciali, infatti, stanno favorendo lo sbiancamento dei coralli.È quanto è emerso da uno studio condotto dal NOAA e dall’Haereticus Environmental Laboratory: due comuni sostanze chimiche, l’ossibenzone e l’octinoxate, inibiscono lo sviluppo dei coralli, che si trasformano in scheletri sottomarini. Questo perché i due composti chimici non solo agirebbero sul normale sviluppo dei coralli più giovani, inibendone la capacità di nutrirsi, ma attaccherebbero anche le alghe con cui i polipi dei coralli vivono in perfetta simbiosi. Il risultato? Barriera corallina bianca, sbiancata, morta, con un grandissimo danno per la biodiversità.

Già diversi Stati – dalle Isole Vergini alle Hawaii – hanno deciso di bandire l’uso di solari che contengono queste sostanze. Fortunatamente, in commercio vi sono tanti prodotti ecobio che prevedono solo ingredienti a basso impatto, senza sostanze che danneggiano il mare, per non rinunciare alla protezione durante la tintarella e, al contempo, non danneggiare gli ambienti acquatici.

Impellenze fisiologiche? Meglio non in acqua

Diciamo la verità: a chi non è mai capitato di “lasciarsi fin troppo andare in acqua”, magari approfittando della lontananza da occhi indiscreti? Eppure, il comportamento corretto da tenere sarebbe quello di interrompere momentaneamente la nuotata, per raggiungere i bagni della propria struttura balneare.In linea generale, un singolo episodio non rappresenta un problema per mari e oceani: l’urina è infatti composta al 95% di acqua, a cui si aggiungono sodio e ioni di cloro. In buona sostanza, una composizione non troppo dissimile dal comune sale, di cui il mare è già ricco. La questione sorge quando migliaia di persone decidono di trasformare il mare in una latrina, con effetti poco piacevoli per la natura.

Secondo quanto dichiarato dal Centro Ecologico Akumal, in Messico, l’eccesso di urina nei mari potrebbe potenzialmente danneggiare le barriere coralline. Non a caso, sulla Riviera Messicana si registra una morte rapida dei coralli, a causa delle grandi strutture ricettive locali e della loro abitudine a scaricare le acque reflue direttamente in mare senza trattamenti. Per quanto il tema sia ancora dibattuto, per sicurezza, meglio avvalersi della toilette.

Occhiali, collane e altri oggetti: togliamoli prima del tuffo

Qui su Ecocentrica vi ho parlato spesso del problema dell’inquinamento da plastica nei mari: bottigliette, bicchieri, contenitori per alimenti e buste rimangono in acqua per secoli, alterando gli habitat marini e rappresentando una grave minaccia per gli animali. Eppure, nelle nostre acque non si trovano soltanto questi oggetti, ma davvero di tutto. Ad esempio? Un esercito di occhiali da sole, così come anche collane, lacci per capelli e altri piccoli monili che quotidianamente indossiamo.Nella maggior parte dei casi, capita di dimenticarsi di togliere questi oggetti prima di un tuffo o di una nuotata, perdendoli poi in acqua. Ma qual è l’utensile che viene maggiormente rinvenuto sui fondali marini o, ancora, sulla spiaggia? È l’accendino: la Kagoshima University ha raccolto più di 79.948 accendini nell’arco di sette anni, sulle coste del Pacifico dagli Stati Uniti al Giappone. Seguono poi i biglietti da visita, chiavi e portachiavi, portafogli, nonché orecchini e bigiotteria. Negli ultimi anni si registra anche una sempre maggiore presenza di smartphone sui fondali oceanici, probabilmente persi durante le escursioni, anche se al momento non vi sono stime precise sul loro numero. Meglio allora prestare attenzione prima della nuotata, lasciando tutti questi oggetti in spiaggia.

Questo inquinamento inconsapevole si aggiunge silenziosamente a quello più palese, fatto di contenitori di plastica di ogni forma e dimensione, mozziconi di sigaretta, tamponi igienici e pannolini per bambini, mascherine, buste della spesa e molto altro ancora. Eppure, basterebbe davvero un pizzico di attenzione in più per evitare gravi conseguenze agli ambienti marini!

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Tessa Gelisiodi Tessa Gelisio   
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