Scannarsi sul nucleare? Riparliamone dopo il 2040. Non tutti gli ambientalisti sono radical chic
E non tutti i radical chic sono ambientalisti. Cingolani ha ragione. E Cingolani ha torto. La polemica scatenata dalle dichiarazioni che il ministro alla Transizione Ecologica ha, un po' frettolosamente, lasciato che gli venissero attribuite si è rapidamente avvitata su se stessa
Bloccati dai radical-chic? Non tutti i radical chic sono ambientalisti e, soprattutto, non tutti gli ambientalisti sono radical chic. D'altra parte, alcune delle cose che i radical chic bloccherebbero, in materia di ambiente, in realtà non esistono o non esisteranno, comunque, per molto tempo. Insomma, Roberto Cingolani ha ragione. E Roberto Cingolani ha torto. La polemica scatenata dalle dichiarazioni che il ministro alla Transizione Ecologica ha, un po' frettolosamente, lasciato che gli venissero attribuite si è rapidamente avvitata su se stessa, in un vortice di approssimazioni, contraddizioni, semplificazioni che hanno finito per riportare il dibattito, appunto, sulla transizione ecologica indietro di una decina d'anni.
Cosa lascia intendere Cingolani
Cosa lascia intendere il ministro? Anzitutto, teme che una radicata cultura del No faccia arenare l'ambizioso programma di riconversione del sistema energetico italiano verso le rinnovabili che è l'asse centrale del Pnrr, il grande piano di rilancio del paese, sponsorizzato dall'Europa. Quello che il ministro definisce “radical chic” è l'ambientalismo integralista, indisponibile a qualsiasi compromesso, per cui è accettabile solo ciò che è puro al cento per cento, al fondo del quale si avverte il mito della “decrescita felice”, evocato a suo tempo da Beppe Grillo. E' un timore fondato. In Italia, ad esempio, esiste una drammatica emergenza spazzatura, con le discariche strapiene e un costo, per i contribuenti, di oltre mezzo miliardo di euro l'anno in maggiori imposte. Ma il 60 per cento del tempo necessario a realizzare un impianto di smaltimento viene assorbito dal ciclo delle autorizzazioni. Risultato? In Italia, in questo momento, le discariche sono piene, ma risultano bloccati 26 termovalorizzatori, 18 impianti di compostaggio dei rifiuti organici, 13 strutture di trattamento dei rifiuti speciali.
La cultura ambientalista
L'Italia non può correre il rischio che anche la scommessa del Pnrr finisca in questo imbuto. Però, non tutto l'ambientalismo può essere liquidato così. Lo stesso Pnrr è figlio primogenito della cultura ambientalista, a cui va il merito della lunga e dura battaglia sulla riconversione energetica, che è la ragione stessa dell'esistenza del ministero di Cingolani. E quella cultura si è tante volte dimostrata ragionevole e responsabile, attenta all'analisi costi-benefici.
La bussola
La stessa analisi costi-benefici dovrebbe, però, essere la bussola anche per chi dichiara insofferenza per i vincoli dell'ambientalismo. E' il problema del nucleare, come dell'altra strada indicata da Cingolani: la cattura e sequestro dell'anidride carbonica. Il ministro ha ragione nell'indicare che i tempi accelerati che l'Europa si è data per la decarbonizzazione dell'economia (meno 55 per cento nel 2030, zero nel 2050) rendono difficile centrare l'obiettivo solo con le rinnovabili ormai tradizionali, come il solare e l'eolico. Per chiudere il divario con la prevedibile domanda di energia, tuttavia, non esistono molte strade e quelle che fa intravedere il ministro (nucleare e sequestro della CO2) sono accidentate e remote.
I combustibili fossili
La Ccs (cattura e sequestro dell'anidride carbonica) prevede che l'energia venga prodotta usando combustibili fossili, come il gas, ma che la CO2 che ne risulta venga sottratta e stivata altrove. Molti ambientalisti si oppongono, perché ritengono che questo prolunghi la dipendenza dai combustibili fossili, anche se ciò che conta davvero è l'eliminazione dell'anidride carbonica. Ma è una disputa ancora assolutamente astratta. Dove dovrebbe essere immagazzinata questa CO2? E, soprattutto, quanto costa separarla, trasportarla, seppellirla? Il punto è che di Ccs si parla da più di quindici anni, ma al di là di qualche progetto- pilota – finito nel nulla – e di qualche esperimento non si è andati. Di fatto, la Ccs viene utilizzata, nel mondo reale, solo a ridosso di impianti petroliferi, perché pomparla nel sottosuolo consente di recuperare petrolio che altrimenti resterebbe inutilizzato (non propriamente la carta migliore da mostrare agli ambientalisti). Perché? Perché costa troppo. In altre parole, la tecnologia esiste, ma è, al momento, impraticabile. Discuterne fa sicuramente bene, ma non è una risposta a breve scadenza.
Il nucleare
Lo stesso argomento vale per il tema, assai più tormentato, del nucleare. Una centrale atomica più piccola, dove l'uranio non ha bisogno di essere arricchito, dove le scorie sono solo il 5 per cento, dove il nucleo si spegne da solo se si crea una situazione di pericolo? E' il cosiddetto nucleare di quarta generazione. Se ne parlava già prima del referendum del 2011 e non siamo andati molto più avanti. C'è un prototipo negli Stati Uniti e ce ne sono tre in Europa. Ammesso che i prototipi diano i risultati sperati, in materia di funzionalità e sicurezza, centrali operative di questo genere potrebbero diventare realtà dopo il 2040. Studiare e discutere è sempre utile, ma scannarsi, oggi, in polemiche sul ritorno o meno al nucleare appare quanto meno prematuro.