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Ma la manovra del governo è davvero "green"? Per capirlo basta contare i soldi

Colpiti l’industria della plastica, gli autotrasportatori, i big dell’energia. Questa è nel suo piccolo la manovra più ambientalista degli ultimi anni

di Maurizio Ricci   
Ma la manovra del governo è davvero 'green'? Per capirlo basta contare i soldi

Come risposta italiana all’appello per il Green New Deal della sinistra americana, la “svolta verde” lanciata con la manovra finanziaria 2020 appare di colore un po’ sbiadito. Anche se tutti i partiti al governo si dichiarano fieramente ambientalisti, i soldi sono pochi, le buone intenzioni limitate, il coraggio sporadico, come si è visto, in particolare, con gli appelli alle marce indietro sulla plastic tax. E allora, al di là della retorica e delle polemiche, quanto è effettivamente green questa manovra?

Se qualcuno si aspettava che l’emergenza clima diventasse l’asse di tutta l’azione governativa, la leva con la quale reimpostare la politica economica, il metro su cui tarare tutti gli interventi, come piacerebbe a molti scienziati e a più di un economista, sarà rimasto deluso. Però, forse perché era il terreno su cui le diverse sensibilità dei partiti di maggioranza erano più convergenti, la strategia ambientale è, per la prima volta, dichiaratamente uno dei pilastri della manovra, sul piano delle entrate, come delle spese. Nella manovra che arriva in Parlamento, un’idea generale – efficienza più lotta all’inquinamento – c’è, non tutte le scelte sono timide e scontate, grandi interessi (l’industria della plastica, gli autotrasportatori, i big dell’energia) vengono, bene o male, affrontati e, anche sui soldi, una indicazione precisa, almeno in prospettiva, viene fornita. Mettete insieme decreto clima e decreto fiscale e questa – se sopravviverà alle mareggiate in Parlamento – è, insomma, nel suo piccolo, nonostante le incertezze sulla plastic tax, la manovra più green degli ultimi anni.

Dove puntano gli interventi?

Il primo pacchetto di interventi riguarda l’efficienza energetica. Sono state prorogate di un anno le deduzioni fiscali del 50 o del 65 per cento per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento energetico, come l’installazione di pannelli solari e caldaie a condensazione, nonché per l’acquisto di elettrodomestici più efficienti. E’ una partita importante. Il governo, neanche stavolta ha reso questi crediti fiscali strutturali e permanenti, ma si tratta di un rimborso che vale complessivamente 8 miliardi di euro l’anno.

Il secondo capitolo riguarda l’economia circolare e incide direttamente sui comportamenti quotidiani di tutti noi. Ognuno sa, guardando nel secchio dell’immondizia, quanta plastica accumuliamo, ogni giorno, fra contenitori e imballaggi e quanto rapidamente. Dal 1 giugno prossimo, quella plastica dovrebbe essere tassata ad 1 euro al chilo. Un chilo di plastica significano decine di contenitori, pellicole, sacchetti. Il governo conta di tassarne duemila tonnellate. Ricavandone, dunque, due miliardi di euro l’anno di maggiori entrate.

La rivolta che è scoppiata – nel governo, prima ancora che nel paese, che ha appena digerito senza trasalire più di tanto l’extratassa sulle buste di plastica dei supermarket – dimostra quanto sia facile grattar via l’ambentalismo di facciata. Eppure, tutti dovrebbero sapere che grandi, quasi epocali riconversioni – come quelle sulla plastica – non sono indolori e neppure gratis. Contemporaneamente, però, sono spesso anche grandi occasioni di slancio e conquista di nuovi prodotti e nuovi mercati.

L'obiettivo della tassa sulla plastica

L’Italia ha praticamente inventato la plastica da consumo negli anni ’50 (ricordate il Moplen?), ma è stata anche la prima a raccogliere la sfida del riciclabile. E oggi, siamo il paese leader nella produzione di plastica compostabile. Ma, qui e oggi, possiamo sopravvivere alla plastic tax? In realtà, proprio perché la plastica è leggera, un euro al chilo, riportato alla singola confezione significa un extracosto limitato a qualche centesimo. L’obiettivo, del resto, è soprattutto di scoraggiare, piuttosto che tassare, il ricorso alla plastica. E’ possibile?

Un’idea è il ritorno al consumo di prodotti sfusi. Sono previsti incentivi fino a 5 mila euro per negozi e supermercati che si attrezzino con “green corner” ovvero spazi in cui i consumatori possono rimboccare, in contenitori già usati, prodotti liquidi, dalle bibite ai detersivi. Contemporaneamente, sul lato delle imprese, sono previsti crediti fiscali del 36 per cento per le aziende che scelgano di utilizzare nelle proprie lavorazioni, prodotti riciclati.

L’importanza dell’ambiente in questa manovra si vede contando i soldi. Se la tassa sulla plastica può portate all’erario, a regime, 2 miliardi di euro, altri 1,7 miliardi (destinati a diventare 2,4 miliardi nel 2021) dovrebbero venire, risparmiando sui sussidi ambientali dannosi. Potenzialmente (allacciate le cinture) queste misure possono far trovare il governo davanti a più grattacapi, più proteste, più imboscate parlamentari anche della tassa sulla plastica.

Chi viene colpito dalle norme "ambientali"

Le prime ad essere colpite sono le aziende elettriche. Il governo, infatti, tasserà direttamente l’uso di combustibili fossili nella produzione di energia. Più che carbone e petrolio, poco usati nelle centrali, qui il problema è il metano, spina dorsale del nostro sistema elettrico. Di fatto, ci troviamo di fronte ad un nocciolo di “carbon tax”, come la invocano molti economisti: una tassazione diretta delle emissioni di anidride carbonica prodotte dall’uso di combustibili fossili.

L’altro fronte di scontro è con la categoria degli autotrasportatori, che ha più volte dimostrato la propria capacità di pressione. Il governo vuol mettere fine agli sconti sul gasolio per i camion e i pullman più inquinanti, quelli ancora catalogati euro3 o euro4. Oggi, sulla fattura del gasolio, chi trasporta merci o passeggeri ottiene un rimborso del 34,7 per cento dal fisco, pari ad uno sconto sul prezzo pagato del 17,2 per cento. Dal 2021, questo sconto sarà completamente abolito per i camion e le corriere più vecchi ed inquinanti.

La misura è addolcita dalla concessione di incentivi per chi decide di rottamare quei mezzi. Altri incentivi sono previsti per chi abita in zone a pericolo smog e si decide a rottamare un vecchio motorino (euro2 o 3) o un’auto euro3 per comprare un veicolo nuovo (il sussidio è di 500 euro per il motorino e di 1.500 euro per la macchina).

Assai più vago e generico l’altro braccio cruciale della manovra green: gli investimenti. La manovra annuncia impegni nel settore ambientale per 50 miliardi di euro nei prossimi 15 anni. Una cifra importante, ma che, al momento, su quella proiezione temporale, è soltanto una promessa. Di fatto, qui e subito, cioè nel 2020, il governo conta di spendere, per “rigenerazione urbana e riconversione a fonti rinnovabili di energia soltanto meno di 600 milioni di euro.

Le "aste verdi" sono una opportunità?

Una importante dichiarazione di principio, sul piano delle risorse, però c’è e riguarda le cosiddette “aste verdi”. E’ il meccanismo su cui si basa il mercato europeo delle emissioni di anidride carbonica. Le aziende che più inquinano (acciaierie, centrali elettriche, cementifici, cartiere) devono comprare in queste aste dei “diritti” ad emettere CO2. L’idea è di spingere le aziende, per evitare di pagare i diritti, a diventare più efficienti e meno inquinanti. Intanto, però, portano soldi. Fra il 2013 e il 2015, ad esempio, le aste hanno fruttato 1,5 miliardi di euro. Che i vari governi italiani hanno utilizzato, almeno per metà, per gli scopi più vari. L’impegno, ora, è di utilizzare i proventi delle aste solo e specificamente per interventi ambientali.

di Maurizio Ricci   
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