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Bonifiche e decarbonizzazione, ecco cosa ci sarà nel Collegato ambientale

Le anticipazioni del sottosegretario Morassut: “Bisogna far funzionare bene le risorse economiche e professionali di cui lo Stato dispone”

di GreenReport.it   
Bonifiche e decarbonizzazione, ecco cosa ci sarà nel Collegato ambientale

Sin dallo scorso autunno c’è grande attesa per il prossimo Collegato ambientale alla legge di Bilancio, che dovrà dare corpo all’annunciato Green new deal: nei giorni scorsi sono circolate delle bozze di lavoro spacciate per testi definitivi o quasi, che il ministero dell’Ambiente si è però affrettato a smentire parlando di «indiscrezioni giornalistiche inattendibili». Quali saranno dunque i temi al centro del provvedimento, e quando verrà presentato un testo organico? Lo abbiamo chiesto a Roberto Morassut, sottosegretario al ministero dell’Ambiente. «In questa fase – spiega Morassut – stiamo lavorando su dei materiali preliminari che comprendono contributi degli uffici e degli organi tecnici, consultivi e legislativi del ministero dell’Ambiente oltre ai contributi liberi delle forze politiche di maggioranza. Quello che è filtrato sulla stampa è quindi un materiale eterogeneo, “un brogliaccio” non ancora selezionato, e dunque privo di attendibilità. La selezione dovrà avvenire, in primo luogo, in relazione al quadro europeo e alle linee strategiche su cui si assesterà la Commissione europea per impostare il Green new deal, in primo luogo dal punto di vista delle risorse economiche disponibili e degli obiettivi.

Partendo da questa “visione” costruiremo il testo del Collegato nel lavoro della maggioranza e nel confronto con altri ministeri, in un lavoro organico e di squadra, perché la prospettiva di una svolta verso la sostenibilità ed un nuovo modello di sviluppo non è un tema settoriale ma una grande scommessa politica e di civiltà. Vogliamo allargare il confronto anche alle realtà produttive, associative e professionali, agli attori economici. Il Collegato può essere un grande momento di confronto sul futuro del Paese e quindi la partecipazione deve essere larga. Comunque vogliamo darci tempi rapidi.

C’è piena sintonia con il ministro sulle strategie e sugli obiettivi che rappresentano un punto qualificante del programma di governo, e sui quali il ministro è impegnato con grande energia. Nel ministero c’è un bel clima di collaborazione e con tutti gli uffici coinvolti riusciremo a portare a sintesi un lavoro così articolato».

Nonostante il 91% dei Comuni italiani sia soggetto a rischio idrogeologico, il nostro Paese – come testimoniato da ultimo anche dalla Corte dei conti – fa molta fatica a spendere anche le pur insufficienti risorse disponibili per arginare il fenomeno: nel Collegato ambientale sono previste misure per sbloccare i cantieri?

«Per quanto riguarda il dissesto idrogeologico vogliamo portare all’attenzione del Parlamento un decreto legge. Nulla più del tema del dissesto merita di essere trattato con “urgenza”. I tempi del Collegato non sono compatibili con la necessità di intervenire subito, apportando modifiche significative ad una macchina operativa che, nel tempo, si è caricata di troppe stratificazioni per le continue e non sempre efficaci manomissioni al modello operativo.

La mia opinione è che bisogna far funzionare bene le risorse economiche e professionali di cui lo Stato dispone, migliorandone le prestazioni e rimettendo ordine nel processo operativo, chiarendo meglio chi fa cosa. Considero, in questo quadro, essenziale restituire alle Autorità di bacino un ruolo vero e non solo formale di indirizzo e programmazione, come deliberato dalla legge n. 183 dell’89.

Un primo tema è l’esatta mappatura del rischio. Oggi la mappatura avviene per via essenzialmente amministrativa, attraverso la trasmissione presso il Rendis da parte delle regioni della priorità degli interventi. Occorre, invece, migliorare la capacità di lettura e prevenzione su base scientifica e tecnologica, utilizzando al meglio i sistemi di telerilevamento spaziale (di cui l’Italia è leader mondiale) e il monitoraggio a terra, anche grazie alla rete impiantistica di Terna che può aiutarci a monitorare il comportamento dei suoli e le modifiche profonde che essi subiscono incessantemente. Questi elementi vanno incrociati con il lavoro di Ispra, in primo luogo, sull’Inventario dei fenomeni franosi.

In secondo luogo, va affrontato il tema operativo della spesa e delle opere. Deve crescere la capacità tecnica delle Regioni e dei Comuni di progettare ed appaltare. E vanno chiariti i ruoli di tutte le strutture di supporto che possono fornire un contributo tecnico a questo aspetto dell’azione dei Comuni e delle Regioni. In particolare mi riferisco al ruolo di Invitalia, di Sogesid, dei Provveditorati alle opere pubbliche o della stessa Cassa depositi e prestiti.

Serve un “sistema” di soggetti tecnico – operativi di altissima efficienza - che consenta al ministero di erogare i fondi e di controllarne quindi meglio l’effettivo utilizzo. Questa priorità è importa intissima per accrescere la fiducia nelle istituzioni ed il senso di sicurezza delle popolazioni.

Non escludo, in linea di principio, che in certe situazioni possa essere utile anche l’intervento diretto dello Stato, attraverso reparti militari di alta capacità tecnica e operativa per accelerare opere che vanno a rilento o realizzare interventi particolarmente urgenti. Di questo vorremo discutere al ministero della Difesa».

Un’ampia fase di stallo interessa anche le bonifiche dei Siti d’interesse nazionale (Sin), che dopo decenni sono concluse solo per il 15% dei suoli e il 12% delle acque sotterranee. Quali strumenti è possibile mettere in campo?

«Nel Collegato inseriremo un mandato al Governo per presentare una legge delega nella quale riformare completamente la parte del 152/2006 (Testo unico per l’ambiente) che tratta il tema delle bonifiche.

In linea di massima posso anticipare questo: vogliamo coordinare la legislazione sul tema del danno ambientale e delle bonifiche, che oggi viaggiano su due binari paralleli. La conseguenza di questo è che l’individuazione dei responsabili degli inquinamenti non ha la certezza necessaria e quindi diventa tutto più lento. L’individuazione certa della responsabilità di un’area inquinata è il primo passaggio e va risolta con tempi più certi. In secondo luogo vi è il tema della certificazione della analisi del rischio che ci restituisce l’intensità dell’intervento di bonifica. Anche qui il meccanismo è farraginoso.

Per affrontare questi temi il ministero dell’Ambiente ha istituito una Direzione generale specifica sulle bonifiche, che ha iniziato a lavorare con grande impegno».

All’inizio di gennaio il Governo ha inviato a Bruxelles il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), ma dopo poche settimane lei ha dichiarato che – come poi confermato anche dal ministro Costa – il testo sarà rivisto per rispondere agli obiettivi più sfidanti proposti dall’Ue. Quali progressi si attende?

«Il lavoro svolto dal ministero dell’Ambiente (d’intesa col Mise) sul Pniec è stato importante e resta un patrimonio fondamentale. Ma dobbiamo tener conto che siamo in un momento di grande accelerazione sul tema della transizione energetica sia per quanto riguarda gli obiettivi indicati dall’Europa (che vogliamo cogliere) sia per quanto riguarda l’evoluzione tecnologica e dei sistemi di approvvigionamento, oltre che delle fonti.

Si stanno aprendo interessanti prospettive per l’idrogeno ma intanto occorre rafforzare l’impegno sulle rinnovabili. Sul solare termico, l’eolico e sull’elettrico con un occhio particolare rivolto alle città. Tanto che uno degli obiettivi più ravvicinati dovrebbe essere proprio quello di riconvertire tutto il trasporto pubblico locale all’energia pulita nell’arco di pochi anni, meno di un decennio.

Nello stesso tempo occorre compiere uno sforzo maggiore sul tema del contenimento delle emissioni di CO2, con investimenti sulle infrastrutture verdi, sulla riconversione di alcuni settori industriali (e qui c’è il tema di Taranto e del settore siderurgico) e sulla questione della rigenerazione urbana in funzione del contenimento del consumo di suolo e della riconversione industriale dell’edilizia, puntando su nuovi materiali, nuove tecnologie impiantistiche, nuove forme urbane non estensive ed un riciclo dei materiali da costruzione attraverso uno specifico End of waste.

Come vede sono temi che faranno parte del Collegato ambientale, e che influiscono però sugli obiettivi del nuovo Pniec».

Nel frattempo però gli investimenti in energie pulite languono sul territorio, strozzati dalla sindrome Nimto (non nel mio mandato elettorale) prima ancora che dalla Nimby: il comparto della geotermia ad esempio sta vivendo mesi particolarmente difficili dopo che il precedente Governo non ha previsto il rinnovo degli incentivi nel decreto Fer 1. Adesso l’approccio sembra stia cambiando, ma il decreto Fer 2 atteso per febbraio ancora non si vede: il ministero dell’Ambiente crede nello sviluppo della geotermia? Quale tempistiche prevede?

«Il Mise sta lavorando con solerzia allo schema di decreto Fer2, sul quale come ministero dell’Ambiente daremo il nostro contributo. Sul punto geotermia il ministro Patuanelli ha espresso orientamenti convincenti. L’adozione del Pniec comporta una rivisitazione globale del rapporto del nostro Paese con le rinnovabili. Mettere al bando carbone e fonti fossili non può coniugarsi con il mantenimento di presupposti, spesso ascientifici, sulle rinnovabili. Fotovoltaico, eolico e geotermia e ogni altra fonte rinnovabile sono la scelta operata dal Governo con il Pniec, naturalmente minimizzando o annullando ogni tipo di impatto ambientale».

A cura di Luca Aterini - GreenReport.it

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