Auto elettriche che passione, ma la corsa al litio sta alimentando la corruzione e danneggiando l’ambiente
L’attuale modello economico non consente all’Africa di beneficiare della sua ricchezza di risorse naturali come il litio
La settimana scorsa il Parlamento e il Consiglio europei hanno concordato un piano per aumentare l’approvvigionamento di materie prime strategiche, essenziali per la transizione energetica è in cima all’agenda. Ue, per garantire che le catene di approvvigionamento dei minerali siano in linea con i più elevati standard internazionali in materia di diritti umani, ambiente e governance e sostenere i Paesi produttori nella lavorazione e produzione locale dei materiali delle batterie, cosa fondamentale per garantire una transizione energetica giusta ed equa a beneficio di tutte le persone e del pianeta.
L’Africa è al centro di un gioco di potere geopolitico per i minerali utilizzati nelle tecnologie energetiche pulite che alimenteranno una transizione energetica globale e verde. L’“oro bianco” – il litio – utilizzato nelle auto elettriche e nelle pale eoliche, è uno dei minerali più ricercati per la transizione energetica, Ma la realtà è nben diversa da quella alla quale vorrebbe giungere il piano europeo. Secondo il recente rapporto “An unjust transition? The new rush for Lithium in Africa” pubblicato da Global Witness, «Tre miniere di litio in Zimbabwe, Namibia e Repubblica Democratica del Congo (RDC) sono collegate a importanti segnali di corruzione e alcune sono accusate di violazioni dei diritti umani e ambientali».
Per le nuove materie prime della green economy si sta ripetendo lo stesso meccanismo – che qualcuno ha chiamato maledizione del petroliio – che ha caratterizzato lo sviluppo delle energie fossili: sfruttamento delle risorse delle materie prime nei Paesi poveri da parte di quelli ricchi e complicità delle élite corrotte dei Paesi in via di sviluppo con le multinazionali sostenute dai governi dei Paesi industrializzati.
Cosa emerge dall'indagine
Dall’indagine di Global Witness è emerso che nello Zimbabwe, la miniera di Sandawana è stata teatro di una corsa al litio che ha coinvolto migliaia di minatori artigianali che lavoravano in condizioni non sicure, con segnalazioni di lavoro minorile e minatori sepolti dal crollo della miniera. All’inizio del 2023 è stato riferito i minatori erano stati sfrattati, i loro minerali sarebbero stati confiscati e la miniera occupata da società con stretti legami con lo Zimbabwe African National Union – Patriotic Front, il partito al potere da dopo l’indipendenza, e con l’esercito, comprese aziende soggette a sanzioni statunitensi o europee. Nonostante il divieto ufficiale sulle esportazioni di litio non trasformato, la miniera di Sandawana, grazie ai suoi legami politici, sembra essere stata esentata e dal 2003 spedisce migliaia di tonnellate di minerale fuori dallo Zimbabwe.
In Namibia, la compagnia cinese Xinfeng Investments è stata accusata di aver acquisito la miniera di litio Uis grazie alla corruzione. Ci sono prove che Xinfeng abbia sviluppato la miniera utilizzando i permessi destinati ai piccoli minatori locali, consentendo così alla multinazionale mineraria cinese di avviare l’estrazione di un importante giacimento di litio per soli 140 dollari, evitando la necessità di una valutazione di impatto ambientale. Le comunità locali e i parlamentari namibiani hanno accusato Xinfeng di far lavorare persone in «condizioni di apartheid», corrompendo i capi locali e spaventando la fauna selvatica che rappresenta una importante fonte di entrate grazie all’eco-turismo. Xinfeng ha spedito migliaia di tonnellate di minerale di litio grezzo in Cina, non mantenendo la promessa di costruire impianti di lavorazione in Namibia.
Nella martoriata Repubblica Democratica del Congo, lo sviluppo del giacimento di litio di Manono – bloccato da una disputa che coinvolge compagnie minerarie australiane e cinesi – ha sollevato numerosi segnali d’allarme per la corruzione. Sembra che il progetto abbia generato fino a 28 milioni di dollari per società di comodo detenute da intermediari implicati in precedenti scandali di corruzione che coinvolgevano l’ex presidente Joseph Kabila. Inoltre, un alto funzionario del partito dell’attuale presidente Felix Tshisekedi quando ha acquisito azioni nel progetto avrebbe ricevuto 1,6 milioni di dollari in “commissioni” dalla Zijin Mining. La compagnia mineraria statale che ha firmato gli accordi Manono è stata accusata dall’agenzia anticorruzione della RDC di vendere i diritti sul litio a un “prezzo ridotto” e di “sperperare” i proventi.
Colin Robertson, investigatore di Global Witness ha contattato diverse imprese e individui citati nel rapport e sottolinea che «l’Africa si trova nel mezzo di una corsa per il litio che, invece di avvantaggiare i suoi cittadini, potrebbe finire per alimentare la corruzione e lasciare un’eredità avvelenata di inquinamento e violazioni dei diritti umani. La domanda globale di litio sta aumentando notevolmente poiché produttori e governi in Europa, Stati Uniti e Cina cercano di dominare il mercato dell’energia sostenibile e raggiungere gli obiettivi climatici. Hanno la responsabilità di chiedere maggiore trasparenza, migliori pratiche ambientali e migliori condizioni di lavoro nelle loro catene di approvvigionamento».
Emmanuel Umpula di AfreWatch conclude: «L’attuale modello economico non consente all’Africa di beneficiare della sua ricchezza di risorse naturali come il litio. Abbiamo bisogno di un modello che coinvolga la lavorazione locale dei minerali e la produzione di precursori delle batterie per rilanciare le nostre economie. Questo richiede misure efficaci contro la corruzione, nonché migliori condizioni di lavoro, contributi allo sviluppo della comunità e alla protezione dell’ambiente».
A cura di GreenReport.it