Emissioni di CO2 in caduta libera, ma rispetto alla media europea l'Italia arranca e raggiunge risultati modesti
In base ai dati Eurostat nel 2019 l’Unione europea ha visto un -4,3 per cento per le emissioni dei climalteranti nel settore energetico, ma il nostro Paese si ferma a un modesto -2 per cento
Il settore energetico, che comprende tutte le attività che comportano conversione di energia, è il principali responsabile delle emissioni di gas serra: arriva da qui l’80% della CO2 emessa dalle attività antropiche. Ma nell’ultimo anno ha registrato in Europa un importante calo nelle emissioni. Mentre il Pil dell’Ue a 27 cresceva dell’1,9%, le emissioni di CO2 legate all’impiego dei combustibili fossili calavano del 4,3%, proseguendo sulla strada del disaccoppiamento tra crescita economica ed emissioni di gas serra. In Italia, come testimoniano gli ultimi dati Eurostat, i progressi sono stati però molto meno marcati nonostante il nostro Paese sia il nostro comparto energetico sia il secondo per emissioni di CO2 in Europa (11,8%) dopo la Germania (25,1%). Mentre il Pil nazionale è rimasto quasi fermo (+0,3%) le emissioni italiane sono sì calate, ma del 2%: una diminuzione che non arriva alla metà di quella conseguita dall’Europa nel suo complesso.
La performance italiana è dunque inferiore alla media europea, e si colloca verso la coda di un ampio spettro che va dall’Estonia (-22% per le emissioni) al Lussemburgo (+7,5%), mentre tutte le principali economie Ue mostrano risultati migliori di quello nostrano - Spagna -7,25%, Germania -4,6%, Regno Unito -4,3% – tranne nel caso francese (-2%, identico al dato italiano).
«Nel 2019 in molti Paesi si osserva un netto calo del consumo di combustibili fossili solidi (carbone, lignite, scisti e sabbie bituminose). Il motivo principale di questo calo – spiega Eurostat – è il sostanziale aumento nel 2019 del prezzo della CO2 nel sistema di scambio di quote di emissioni Eu Ets rispetto al 2018 (> 25 €/t CO2). Questo sistema rende economicamente meno redditizio l’uso di combustibili fossili solidi principalmente per la produzione di elettricità, perché emettono più CO2 per MWh di elettricità prodotta rispetto ad altri combustibili, ad esempio gas naturale. Per compensare l’uso ridotto di combustibili solidi, i Paesi usano più gas naturale e più fonti rinnovabili per la generazione di elettricità e/o importano elettricità mancante da altri Paesi».
L’impatto della pandemia da Covid-19 rischia però di mutare radicalmente questo scenario, in quanto i prezzi nel mercato Eu Ets sono crollati del 40% tra febbraio e marzo di quest’anno, a causa di un marcato calo della domanda di elettricità e la sospensione delle attività industriali. L’ennesima conferma che la pandemia, di per sé, non darà vantaggi (neanche) al clima: anzi, è necessario sventare il pericolo opposto.
Per il primo trimestre dell’anno in corso da Ispra stimano che le emissioni italiane di gas serra diminuiranno del 5-7% rispetto allo stesso periodo del 2019, ma questa riduzione «comunque non contribuisce alla soluzione del problema dei cambiamenti climatici, che ha invece necessità di modifiche strutturali, tecnologiche e comportamentali». In compenso, se non verranno messe in campo strategie industriali ecologiche per la ripartenza, il rischio è che il prossimo anno ci sia un rimbalzo nelle emissioni. Del resto è già successo: dieci anni fa le emissioni di CO2 calarono a livello globale dell’1,44% a causa della crisi finanziaria, ma un anno dopo crebbero del 5,13%. Non possiamo permetterci di nuovo un errore simile.
GreenReport.it