Li buttiamo perché obsoleti o non più funzionanti, ma dove finiscono smartphone, tablet e Pc?
In Ghana il cimitero mondiale dell'e-waste. I lavoratori esposti a sostanze tossiche e veleni, ma è una delle poche risorse economiche a loro disposizione
L’elettronica ha conquistato le nostre case. La maggior parte delle persone possiede una Smart Tv, costantemente collegata a Internet per la visione di contenuti on demand, un tablet, indispensabile per la scuola o il lavoro a distanza - come anche per il tempo libero -, o uno smartphone, che in questo periodo storico si è dimostrato fondamentale per mantenere vivi i rapporti con amici e parenti. Nessuno potrebbe far a meno di loro, tanto che, al primo segnale di malfunzionamento, corriamo in un centro commerciale o sul Web per acquistarne uno nuovo, meglio se più performante. In pochi si domandano però che fine facciano i vecchi dispositivi, quelli che, magari a malincuore, gettiamo tra i rifiuti (Raee). Ebbene, tutti questi dispositivi, o comunque una buona parte di essi, finisce ad Agbogbloshie, in Ghana. In questa città finisce buona parte dell'e-waste d'Europa.
Chi ha avuto modo di vedere le discariche è rimasto senza parole, perché benché per i locali che vi lavorano sia questa una delle poche opportunità economiche per sopravvivere, la realtà dei fatti è che i rifiuti vengono “smaltiti” senza alcun tipo di tutela per la salute e per l’ambiente. Uno sconfinato cantiere a cielo aperto, sulla laguna di Korle, dove gli operai maneggiano sostanze altamente tossiche senza utilizzare alcun tipo di dispositivo di protezione individuale (DPI). Le associazioni ambientaliste stimano che ad Agbogbloshie arrivino annualmente oltre 250 milioni di tonnellate di e-waste, provenienti per l'85 per cento dal Vecchio Continente (attraverso circuiti per lo più illegali).
Come è possibile tutto ciò? I più informati sapranno che la Convenzione di Basilea considera illegali i movimenti oltre frontiera dei rifiuti pericolosi, definendo inoltre criminale il traffico internazionale degli e-waste, in particolare quello che danneggia i Paesi in via di sviluppo. Ci sono però una moltitudine di organizzazioni che hanno trovato il modo di sfruttare una falla dell’impianto legislativo: è possibile aggirare i blocchi classificando quella che di fatto è spazzatura inutilizzabile come rifiuto elettronico riparabile. In pratica viene dichiarato il falso, spacciando l'e-waste come futura "elettronica di seconda mano".
E così, ad Agbogbloshie, migliaia di disperati tentano di recuperare i metalli preziosi (rame, nichel, piombo, manganese, cromo, titanio, tungsteno, argento, oro, palladio, alluminio, bario, boro, berillio e cobalto) per poco meno di 4 dollari al giorno. Per farlo bruciano montagne di plastica isolante, e spaccano con pietre e martelli i vecchi apparecchi elettronici. L’aria, avvelenata dai fumi neri e densi della gomma incenerita, provoca nei lavoratori e anche nei residenti della zona gravi problemi di salute. Tanti lamentano dolori al petto e agli arti, e disturbi allo stomaco e al fegato. Altri hanno sviluppato malattie respiratorie e della pelle più o meno gravi, come anche problemi cardiovascolari e disturbi al sistema endocrino: inutile dire che in tutta la città il rischio cancro è qualcosa di più di un semplice "rischio". Eppure la manovalanza non manca. Nella città arrivano lavoratori da tutto il Paese. C’è chi si trasferisce con la speranza di guadagnare i soldi necessari al sostentamento della propria famiglia, ma nella maggior parte dei casi il sogno diventa incubo: molti dei ragazzi emigrati si ammalano e non fanno più ritorno al proprio villaggio natale.
L’aria che si respira, come detto, è veleno. Stando a quanto emerso dalle analisi condotte dall’agenzia non governativa Basel Action Network (BAN), impegnata contro le esportazioni di rifiuti tossici elettronici, nei fumi sono presenti elevate concentrazioni di diossine, litio, cadmio, cromo, piombo e mercurio. Queste sostanze finiscono inevitabilmente per contaminare tutto, anche l’acqua e il cibo: in un solo uovo di gallina allevata nel circondario della discarica ci sarebbero 220 volte più diossine clorurate e quattro volte più bifenili policlorurati rispetto alla quantità massima ammessa dall'European Food Safety Authority.
Ciò che accade ad Agbogbloshie si verifica, in maniera fortunatamente meno importante, anche in Paesi come Benin, Nigeria, India e Cina. Cosa possiamo fare per ridurre l’impatto sull’ambiente dei vecchi dispositivi elettronici? Intanto, quando possibile, tentate di sfruttare al massimo il dispositivo. Se ancora funziona non sostituitelo. Se proprio volete sostituirlo con un nuovo modello regalatelo ad un amico o a un parente, così da prolungarne ulteriormente la vita. Nel caso in cui l’apparecchio risultasse inutilizzabile, perché danneggiato, e ripararlo fosse antieconomico, portatelo nell’isola ecologica della vostra città.