Automobili realizzate in canapa e altre fibre vegetali, meno plastica nel futuro delle auto
Dalla Hempcar della Ford interamente ricavata da soia e canapa e alimentata ad etanolo, ai moderni impieghi di Bmw, Peugeot e Seat
L’iniziativa di provare ad utilizzare fibre vegetali nei processi industriali del settore automobilistico sono oggi dettate dall’esigenza di realizzare materiali a bassa impronta di carbonio. Con questo tipo di produzioni si cerca di esercitare un bassa pressione ambientale durante i loro processi di produzione ma anche di prevedere percorsi di smaltimento più sostenibili. Lo studio, la ricerca e la realizzazione di tutti questi materiali a base vegetale erano saliti alla ribalta delle economie nazionali autarchiche principalmente per motivi di strategie politiche ed economiche. Questo era stato possibile grazie agli enormi progressi della chimica, avvenuti nel periodo tra le due guerre ed attribuendo a questi prodotti di sintesi caratteri di modernità e di progresso in chi ne facesse uso.
Studi e ricerche per nuovi materiali
Durante gli anni ’30, negli Stati Uniti, la Ford mette all’opera stuoli di ingegneri per progettare la prima auto realizzata interamente con un materiale ottenuto da soia e canapa. Vale qui ricordare che dai semi di quest’ultima si ricava anche l’etanolo che sarebbe servito per alimentare l’auto stessa. Si tratta di un carburante alternativo ai derivati del petrolio, per anni ampiamente sperimentato nei motori termici ma che non è mai “decollato”.
Dopo anni di tentativi nel 1941 il prototipo della Hempcar è presentato ma l’entrata degli USA nel secondo conflitto mondiale ne farà naufragare il progetto.
Anche la Pegamoide, oggi si direbbe “ecopelle”, risale al periodo tra le due guerre mondiali. Si tratta di un materiale costituito da un supporto di tela o di carta su cui è applicata una miscela di sostanze varie, fra cui sostanze a base di celluloide ed olio di ricino.
La Pegamoide è un materiale che imita il cuoio, un tempo usato in valigeria, tappezzeria e simili, ma che è stata ampiamente utilizzata dalle case automobilistiche e dai più famosi carrozzieri per rivestire le loro creazioni. La pegamoide grazie alle sue caratteristiche di maggiore resistenza alle sollecitazioni ed agli eventi atmosferici veniva preferita rispetto alle pelli di animale e quindi, come si direbbe oggi, meno impattante per origine e trattamenti anche se all’epoca questi ultimi erano aspetti del tutto trascurabili e di nessuna rilevanza.
Nella Repubblica Democratica Tedesca RDT, la La VEB Sachsenring Automobilwerk Zwickau (Fabbrica Automobilistica Sachsenring di Zwickau) produceva in Duroplast le carrozzerie delle proprie utilitarie (Trabant). Procedimento utilizzato fino al termine della produzione avvenuta nel 1991. Il Duroplast era realizzato con materiale vegetale riciclato, cascami di cotone e resine fenoliche.
Tuttavia, a causa delle sue caratteristiche (si comporta come una plastica di derivazione minerale) il Duroplast si è dimostrato assolutamente non degradabile e la sua trasformazione richiede lavorazioni costose; l’unica possibilità per smaltirlo è stata trovata nel suo impiego, una volta macinato, come componente delle pavimentazioni stradali.
Si torna ad usare materie vegetali
Ai giorni nostri, la BMW isola le portiere della sua i3 con il Kenaf (Hibiscus cannabinus) ed è possibile acquistare in Florida presso la Renew Sports Cars un’auto dal nome fortemente evocativo: “canna”, almeno per il mercato italiano. La leggerissima carrozzeria è realizzata interamente in fibra di canapa.
Nelle Peugeot più recenti, la versatile pianta è impiegata nei rinforzi del cruscotto e nei condotti di sbrinamento del parabrezza.
Seat (gruppo Volkswagen) sta verificando la possibilità di sostituire la plastica di alcune componenti della Leon con il pulone che è il materiale ottenuto dal cascame del riso. Il pulone è trasformato in Oryzite, mischiato con poliuretani e polipropileni ed infine utilizzato, per esempio negli spessori fonoassorbenti e/o di rivestimento del bagagliaio o del cielo della macchina.
Considerato che ogni anno si raccolgono oltre 700 milioni di tonnellate di riso e che 140 milioni di questo diventano scarti, il progetto ha enormi potenzialità. In questo senso la Seat sta sottoponendo a test di resistenza gli elementi così realizzati per capire di quanto può aumentare la percentuale di pulone presente, fatti salvi i requisiti qualitativi come la resistenza meccanica e quella alle sollecitazioni del caldo/freddo ed all’umidità.
Ridurre l’uso della plastica rientra nel ventagli di strategie adottate dalle case automobilistiche per tentare di portare a zero la “carbon-footprint” nell’intero ciclo di vita delle vetture, obiettivo che la Seat ha fissato per il 2050.