L’Islanda non caccerà più le balene a partire dal 2024. Svandís Svavarsdóttir, ministra islandese per la pesca, ha affermato che la caccia non porta più un ritorno apprezzabile e che allo scadere delle licenze, queste non saranno più rinnovate. «Ci sono ormai poche giustificazioni per autorizzare la caccia alle balene oltre il 2023» si legge sul quotidiano Morgunsbladid.
Nel 2006, quando il governo decise, in violazione della moratoria internazionale, di riprendere la caccia commerciale alle balene, come aveva minacciato di fare tre anni prima, Greenpeace propose che avrebbe sostenuto l’ecoturismo nel Paese in cambio dell’impegno ad abbandonare la caccia. I turisti vanno in Islanda per osservare le balene, non per vederle squartate dai balenieri, tanto più che non c’è mercato per questa carne mentre il profitto che viene dall’ecoturismo è molto più elevato. Una balena vale più da viva che da morta.
Perché investire in un’anacronistica industria, gestita da un’unica impresa?Solo l’1,1 per cento degli islandesi mangia carne una volta o settimana o più – secondo un sondaggio Gallup dell’epoca – mentre l’82% dei ragazzi dai 16 ai 24 anni non l’ha mai mangiata. Una situazione paradossale che è stata più volte smascherata, come quando nel gennaio 2007 Greenpeace fotografò circa 180 tonnellate di carne di balenottera comune che marcivano in una discarica islandese. Contemporaneamente, altre 200 tonnellate rimaste invendute erano congelate in attesa di verificarne i livelli di contaminazione chimica.
Purtroppo ci sono voluti 15 anni per capire che non si tratta più di un’attività importante per l’Islanda, che ha un’economia altamente diversificata e punta sempre più sull’ecoturismo.
Operano nel paese una dozzina di compagnie di whalewatching: i turisti sono principalmente tedeschi e americani, seguiti da inglesi, svedesi e danesi. E non sono pochi i turisti che negli anni si sono fatti sentire cancellando i viaggi in Islanda a causa della crudele caccia alle balene.
La pressione di noi ambientalisti e dei turisti è stata importantissima mentre il crollo nella domanda di carne dei cetacei ha fatto il resto.
Il consumo di questo prodotto è in declino anche in Giappone, uno dei tre Paesi insieme a Islanda e Norvegia che praticano la caccia commerciale ai cetacei e principale mercato di esportazione per l’isola. Il paese nipponico, dopo avere per anni aggirato la moratoria imposta dal 1986 dalla Commissione baleniera internazionale dichiarando di cacciare i cetacei per scopi «scientifici», ostacolato per anni in mare dalle navi di Greenpeace, dal 2018 è uscito dall’accordo internazionale e senza ipocrisia ha ripreso la caccia dichiaratamente commerciale.
Le balene, minacciate dai cambiamenti climatici e dall’inquinamento, ora sono salve dalla caccia islandese. Speriamo che tocchi presto anche a Norvegia e Giappone riporre gli arpioni. La battaglia non è ancora finita.