Crisi climatica e salute
“Aumenterà la frequenza di fenomeni di precipitazioni intense e alluvioni, si avrà un intensificazione degli uragani tropicali e delle tempeste extratropicali, un aumento del rischio siccità e di ondate di calore”. Non è lo stralcio di un articolo di qualche giornale e neanche le parole di un inviato nella Romagna ancora una volta sott’acqua. È una citazione del report AR6 dell’IPCC che nella sezione 3 analizza gli impatti del cambiamento climatico sottolineando i rischi, anche e soprattutto per le persone con l’aumento della mortalità.
Questi fenomeni stanno aumentando di intensità e frequenza a causa dell’aumento della temperatura media del nostro pianeta, conseguenza diretta delle emissioni di gas a effetto serra in atmosfera. È un fatto fisico: in un’atmosfera più calda i fenomeni accelerano, così come in una pentola di acqua bollente rispetto a una piena d’acqua fredda. Più emettiamo, più i fenomeni estremi si intensificano e più vittime avremo. Tutte e tutti siamo esposti ai cambiamenti climatici e agli eventi estremi, ma i soggetti fragili a livello sociale, economico e di salute sono quelli che spesso subiscono le conseguenze più gravi.
La scienza dell’attribuzioneChissà se, mentre scrivevano il loro rapporto, gli scienziati dell’IPCC, che è il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, immaginavano di vedere così rapidamente realizzate le loro previsioni, così come lo osserviamo ora in Europa. E non solo in Europa. Perché una cosa è chiara: non si può più semplicemente parlare di scenari. Negli ultimi anni, infatti, sono nati progetti scientifici internazionali che si occupano di analizzare il legame tra eventi meteorologici osservati e il cambiamento climatico, e che danno sostanza a queste affermazioni.
Uno di questi progetti è il World Weather Attribution (WWA): attraverso metodi di attribuzione climatica riesce a valutare in che misura il riscaldamento globale influisce sulla probabilità e sull’intensità di eventi climatici come ondate di calore, uragani, inondazioni e siccità. Secondo l’ultimo studio di WWA, che ha analizzato quanto accaduto in Europa, nelle scorse settimane, con la tempesta Boris, “eventi di piogge intense di quattro giorni sono diventati circa due volte più probabili e il 20% più intensi rispetto all’era pre-industriale”. Se il mondo non abbandonerà i combustibili fossili, che causeranno un riscaldamento globale di almeno 2°C, simili eventi diventeranno più intensi del 5% e più frequenti del 50%, con il rischio di inondazioni ancora più distruttive. E se da un lato l’Europa settentrionale affronta le intense piogge, dall’altro il Sud fa i conti con l’estrema siccità: in Sicilia e Sardegna la probabilità di eventi prolungati è aumentata del 50% rispetto al periodo preindustriale.
L’estate che abbiamo appena trascorso ne è stata la conferma. Il mese di agosto è stato il più caldo di sempre, eguagliando il record del 2023. E il giorno 13 del mese di agosto – secondo uno studio appena pubblicato da Climate Central (un gruppo indipendente di scienziati e comunicatori, dedicati a ricerche sul clima) – il 50% della popolazione mondiale ha sperimentato temperature insolite rese almeno tre volte più probabili dal cambiamento climatico e 180 città dell’emisfero settentrionale hanno avuto ondate di calore estremo che sono oggi 21 volte più probabili a causa del riscaldamento globale. Lo studio di Climate Central mostra come nella scorsa estate in Europa 240 mila persone sono state esposte per almeno 60 giorni a temperature estreme rese almeno 5 volte più probabili a causa del cambiamento climatico. Più esposizione ai fenomeni, più rischi e più perdite in termini economici e umani.
Caldo/freddo: il conto delle vittimeGli studi che stimanole vittime mediante modelli matematici si sono principalmente concentrati sulle morti per caldo/freddo estremo, e concordano tutti sul fatto che il numero di morti complessivo salirà drasticamente. Lo scorso anno abbiamo pubblicato uno studio scientifico che legava le emissioni delle principali aziende fossili europee con le morti premature per soli fenomeni legati al caldo e al freddo entro il 2100. Attraverso un modello scientificamente validato abbiamo calcolato che le morti premature legate alle sole emissioni del 2022 di Shell, TotalEnergies, BP, Equinor, Eni, Repsol, OMV, Orlen, e Wintershall Dea potrebbero essere 360 mila entro il 2100.
Un numero già ingente, e ancora più preoccupante se si pensa che a queste vittime andrebbero aggiunte tutte quelle legate a fenomeni estremi come alluvioni, frane e smottamenti, e cicloni esasperati dalla crisi climatica. Per non parlare dei danni economici, del rischio di carestie, di conflitti per l’acqua e le risorse, della spinta ad abbandonare le proprie terre per milioni di persone in tutto il mondo. Un conto decisamente salato da pagare.A una lettura poco attenta, se non strumentale, degli studi sulle morti legate agli eventi estremi di temperatura, si potrebbe rischiare di rallegrarsi per una riduzione delle vittime a breve termine. Un effetto positivo del cambiamento climatico, ma destinato a esaurirsi in breve tempo, è infatti la riduzione delle morti per freddo. Gli studi scientifici, però, concordano che con il passare degli anni, il numero di morti per caldo salirà drasticamente superando di gran lunga la riduzione delle morti per freddo: una delle ricerche più complete finora condotte, apparsa su Lancet, argomenta per esempio che “il riscaldamento globale potrebbe ridurre leggermente i decessi netti legati alla temperatura nel breve termine, anche se, a lungo termine, si prevede che il cambiamento climatico aumenterà il carico di mortalità”.
Altre ricerche apparse recentemente nelle riviste scientifiche vanno nella stessa direzione, concludendo che la crescita del numero di vittime legate all’aumento della temperatura media del nostro pianeta sarà molto rapida. Ma con impatti differenti a seconda delle aree. Spesso questi studi, infatti, sono realizzati su base regionale, anche perché destinati a ispirare corrette politiche di mitigazione. E molti di questi concordano che l’Europa sarà una delle aree dove il tasso di mortalità sarà più alto: con le attuali politiche si stima che i decessi legati alle temperature potrebbero portare, solo in alcune regioni europee, ad altre 54.074 vittime entro il 2100. Il Mediterraneo, in particolare, è un hot spot dei cambiamenti climatici, uno dei luoghi nei quali gli impatti saranno più profondi e probabilmente drammatici. Non ci si può dunque rallegrare per una momentanea diminuzione delle vittime.
Gli impatti sulla salute mentaleSe da una parte abbiamo la conta di morti e dispersi per alluvioni e ondate di calore, dall’altro abbiamo conseguenze molto importanti anche sulla salute mentale, legate sia al trauma da eventi estremi sia all’aumento dei fenomeni di stress dovuti alle alte temperature. La crisi climatica, insomma, impatta sul tasso di mortalità e allo stesso tempo influenza negativamente la vita delle persone.
Sono diversi gli studi portati avanti in merito alle conseguenze sulla salute mentale degli eventi meteorologici estremi, anche se sono stati realizzati principalmente in altri Paesi come Regno Unito (Francese et al., 2019), Grecia (Adamis et al., 2011) e Spagna (Caamano-Isorna et al., 2011; Fontalba-Navas et al., 2017). Tali studi indicano un elevato rischio di conseguenze traumatiche e psicopatologiche degli eventi legati al cambiamento climatico. La letteratura scientifica è concorde sul fatto che alti livelli di sofferenza affliggono particolarmente la popolazione giovanile. Questo stato, che viene nel gergo comune definito “ecoansia”, è aggravato dall’inefficacia delle politiche ambientali portate avanti dai governi; più i giovani si sentono “traditi” dalle amministrazioni nazionali e internazionali e più aumentano i fattori di stress e malessere . Il primo studio italiano sull’argomento ha mostrato la necessità di una maggiore considerazione dei legami tra cambiamento climatico e salute mentale: secondo tale analisi serve prevenzione e una risposta concreta della politica, della ricerca, della pratica clinica e della formazione degli operatori sanitari . Per questo motivo Greenpeace Italia, insieme all’Istituto europeo di psicotraumatologia e stress management, ha promosso un’indagine rivolta a tutta la popolazione giovanile del nostro Paese con lo scopo di comprendere il legame tra le preoccupazioni per la crisi climatica e la salute mentale dei giovani. L’obiettivo è acquisire dati basati sulle evidenze scientifiche al fine di sensibilizzare le istituzioni politiche affinché adottino misure pratiche a sostegno delle presenti e future generazioni.
Il diritto alla vita e alla salute è sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e dalla Costituzione Italiana, che all’articolo 32 afferma: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.” Questi diritti sono pilastri fondamentali della dignità umana e devono essere assicurati senza alcuna discriminazione. Continuare a ignorare il cambiamento climatico, non prendere provvedimenti per ridurre le emissioni climalteranti e non impedire nuove estrazioni di combustibili fossili significa essere complici silenti di milioni di morti.