Nonostante l’Italia ospiti alcuni dei più gravi casi di contaminazione dell’intero continente europeo (in alcune aree del Veneto e del Piemonte) a oggi i controlli sui PFAS nelle acque potabili sono per lo più assenti o limitati a poche aree geografiche. Con la nostra Campagna “Acque senza veleni” abbiamo raccolto campioni di acqua potabile in 235 città per stilare la prima mappa italiana della contaminazione delle acque potabili da PFAS. Una istantanea ben precisa che dà un primo quadro della situazione nel nostro Paese. Ma come possono singoli cittadini e cittadine attivarsi in prima persona per contrastare questa pericolosa forma di inquinamento? Ecco di seguito alcuni suggerimenti concreti.
1) Come sapere se l’acǫua che esce dal rubinetto di casa è contaminata da PFAS?Per sapere se l’acqua del nostro rubinetto di casa è contaminata da PFAS e in che quantità, si può controllare se sulle pagine web del gestore dell’acqua del tuo comune o della ASL di riferimento siano pubblicate le analisi periodiche delle acque potabili, e se, tra i parametri monitorati, siano presenti anche i PFAS. Grazie a una direttiva europea gli enti pubblici avranno l’obbligo di monitorare la presenza di PFAS nelle acque potabili a partire da gennaio 2026. Alcuni enti si sono già attivati e quindi questi dati potrebbero essere presenti sui portali online.
2) Nel tuo Comune non esistono analisi delle acque potabili? Fai una richiesta di accesso agli attiCon la normativa FOIA, l’ordinamento italiano riconosce la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni come diritto fondamentale. I cittadini italiani hanno il diritto di richiedere dati e documenti, così da svolgere un ruolo attivo di controllo sulle attività delle pubbliche amministrazioni. Molti enti pubblici mettono a disposizione dei form online da compilare e spedire per ottenere le informazioni richieste.
Per inviare un FOIA è sufficiente una semplice mail personale e non per forza PEC ma si suggerisce di firmare il FOIA e di inviarlo tramite PEC, a cui deve essere allegata copia del proprio documento d’identità. La PEC deve essere inviata all’indirizzo dedicato al FOIA (detto anche accesso civico generalizzato). Il primo passo quindi è trovare l’indirizzo a cui scrivere.
Si possono inviare richieste di accesso agli atti al gestore dell’acqua potabile (azienda di solito partecipata) e alla ASL territoriale. Entrambi gli enti dovrebbero avere nei loro siti internet pagine o moduli dedicati alle “richieste di accesso civico” o “richieste di accesso agli atti”, nelle pagine dei contatti, dedicate all’amministrazione trasparente, o alla modulistica, nelle sezioni dedicate all’ufficio relazioni con il pubblico o all’ufficio protocollo.
Una volta trovato indirizzo e modulo, dobbiamo solo scrivere il testo della richiesta di accesso, ricordandoci i seguenti punti:
Nella compilazione della domanda dobbiamo essere precisi sul nome del documento e delle informazioni a cui vogliamo accedere. Esempio: “Richiesta di accesso generalizzato ai dati analisi PFAS nelle acque potabili 2023/2024”L’ente può rifiutare la tua richiesta per motivi procedurali: ricordati di firmarla, allegare la carta d’identità e inviarla via PEC (laddove presente)Alcuni enti predispongono un modulo da compilare per l’accesso ai documenti amministrativiNel caso di diniego totale o parziale dell’accesso, o di mancata risposta entro 30 giorni, è possibile (e gratuito) presentare istanza di riesame presso il Responsabile della Trasparenza che dovrà esprimersi sulla tua richiesta entro 20 giorni. La procedura per trovare il nome di riferimento è “amministrazione trasparente”, sottovoce “altri contenuti”, sottovoce Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza.Se anche il Responsabile della Trasparenza rifiuta l’accesso, è possibile fare ricorso al TAR ai sensi dell’art. 116 c.p.a; tuttavia, questo ricorso non è gratuito, come è a pagamento l’ultimo grado di giudizio presso il Consiglio di Stato.
3) Cosa puoi fare se scopri che l’acǫua che bevi è contaminata da PFAS?La prima cosa da fare è informare quante più persone possibili della presenza di PFAS nel tuo territorio, nell’acqua che entra nelle vostre case, scuole e servizi pubblici, attivarvi insieme come cittadini e chiedere trasparenza e interventi alle amministrazioni locali.
Non cerchiamo scorciatoie pensando che l’acqua minerale sia la panacea di tutti i mali perché a priori priva di qualsiasi contaminazione. Indagini condotte in Europa hanno evidenziato che molte delle acque europee oggi in commercio sono contaminate da alcuni PFAS come il TFA. Sulle acque minerali commercializzate in Italia non esistono dati pubblici ma nemmeno informazioni che possano escludere un quadro di contaminazione differente rispetto a quello di acque minerali vendute in Europa.
A livello domestico, i filtri per le caraffe più comuni non sono efficaci per rimuovere questi inquinanti e sarebbero richiesti trattamenti più costosi come l’osmosi inversa per abbattere o azzerare la presenza di PFAS. Se ci sono criticità, è dovere degli enti preposti garantire che sia erogata acqua potabile priva di PFAS: oggi ci sono molte tecnologie alla portata che consentono di farlo.
In secondo luogo, puoi entrare in contatto con uno dei gruppi locali di Greenpeace nella tua zona o mandare una mail alla Rete nazionale #ZeroPFAS all’ indirizzo info@zeropfas-italia.org e condividere con loro i risultati. La rete nazionale #ZeroPFAS e i nostri volontari e le nostre volontarie ti aggiorneranno sulla campagna nazionale per chiedere una legge che vieti la produzione e l’utilizzo di PFAS in Italia.
Se entri in contatto con Greenpeace potrai contare sul supporto di un’organizzazione internazionale e autorevole che da anni si batte contro i PFAS ed è a fianco delle persone che vivono e hanno vissuto le conseguenze di inquinamenti devastanti nel loro territori, come alcune province venete, a causa dell’azienda Miteni, o la zona di Alessandria, dove ancora opera la ex Solvay.
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